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LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
Signori:
Riccardo CHIEPPA Presidente Gustavo ZAGREBELSKY
Giudice Valerio ONIDA" Carlo MEZZANOTTE " Fernanda CONTRI " Guido
NEPPI MODONA " Piero Alberto CAPOTOSTI " Annibale MARINI " Franco BILE
" Giovanni Maria FLICK " Francesco AMIRANTE " Ugo DE SIERVO " Romano
VACCARELLA " Paolo MADDALENA " Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 30 luglio 1990, n. 217
(istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come
modificato dall’art. 6, comma 1, della legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche
alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese
dello Stato per i non abbienti) promosso con ordinanza del 19 luglio 2002 dal
Tribunale di sorveglianza di Palermo nel procedimento di sorveglianza nei
confronti di Vincenzo Sacco, iscritta al n. 531 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie
speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003
il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto in fatto 1. -
Con ordinanza in data 19 luglio 2002, il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha
sollevato, in riferimento all’articolo 3, comma 1, della Costituzione sotto il
profilo del difetto di ragionevolezza, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 1, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del
patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come modificato dall’art. 6,
comma 1, della legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990,
n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non
abbienti), nella parte in cui sanziona con la nullità assoluta ed insanabile la
mancata decisione, da parte del giudice adito, sull’istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato entro i dieci giorni dalla sua presentazione
fuori udienza.
1.1. - Il giudice a quo premette di essere stato
investito, ai sensi dell’art. 666, comma 7, c.p.p., dell’istanza di sospensione
dell’esecutività della propria ordinanza, con la quale aveva dichiarato non
estinta la pena residua (tre mesi di reclusione) a seguito dell’esito negativo
dell’affidamento in prova al servizio sociale. Aggiunge che tale ordinanza è
stata impugnata dallo stesso condannato con ricorso per cassazione, nel quale è
stata denunciata la violazione del principio del ne bis in idem e la nullità
assoluta del procedimento, non avendo il Tribunale di sorveglianza deciso nel
termine di dieci giorni dal deposito della richiesta di ammissione al patrocinio
a spese dello Stato.
1.2. - A sostegno della rilevanza della questione
proposta, il rimettente – precisato che in ordine alla violazione del ne bis in
idem non ritiene sussistente il fumus al fine dell’accoglimento della richiesta
sospensione dell’esecutività dell’ordinanza – si sofferma sul secondo motivo di
ricorso per cassazione. Poiché – sostiene il giudice a quo – la decisione in
ordine alla sospensione dell’esecutività dell’ordinanza impugnata per cassazione
si fonda sul fumus di accoglibilità della stessa e sul periculum in mora e dato
che, se l’inosservanza del termine per la decisione sull’istanza di ammissione
al patrocinio a spese dello Stato non fosse sanzionata con la nullità dall’art.
6, comma 1, della legge n. 217 del 1990, non vi sarebbe spazio per ritenere
accoglibile il ricorso per cassazione e di conseguenza non vi sarebbero i
presupposti per concedere la sospensione, la questione di costituzionalità
prospettata è rilevante. Ancora più evidente è la rilevanza, aggiunge, se si
considera il periculum in mora, visto che, in mancanza della sospensione del
provvedimento impugnato, il condannato – nelle more del procedimento dinanzi
alla Corte di Cassazione – verrebbe con ogni probabilità chiamato ad espiare la
pena detentiva non estinta.
1.3. - In ordine alla non manifesta
infondatezza, il rimettente sostiene che la norma impugnata contrasta con il
canone della ragionevolezza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, sotto due
profili.
In primo luogo rileva che nell’impianto del codice di procedura
penale la sanzione della nullità assoluta ed insanabile colpisce quelle
difformità dell’atto o del rapporto processuale talmente gravi da incidere in
modo consistente ed irreparabile sulla struttura del rapporto processuale o sui
diritti delle parti, richiamando, quali norme di comparazione, le nullità
previste dall’art. 179, comma 1, c.p.p., che si riferiscono ad ipotesi che
rappresentano gravi lesioni di diritti costituzionalmente garantiti (art. 24 e
112 della Cost.), nonché, tra le nullità previste espressamente dalla legge, ai
sensi dell’art. 179, comma 2, c.p.p., l’art. 604, comma 1, c.p.p., dove le
ipotesi di nullità sono causate da gravi violazioni del diritto di difesa, e
l’art. 525 c.p.p., dove la nullità è collegata alla violazione di un principio
fondamentale del processo penale.
Invece, sottolinea il giudice a quo, la
mancata decisione nel termine di dieci giorni, non lede la struttura
fondamentale del processo né i diritti della parte, non risultando negata o
limitata in alcun modo la difesa, né impedita l’assistenza del difensore o il
compimento di atti del procedimento. Né può dirsi che la nullità sia posta a
tutela dell’interesse del difensore alla retribuzione perché - anche a volerlo
considerare costituzionalmente rilevante - l’ammissione ha comunque effetto
dalla data dell’istanza.
L’irragionevolezza della disciplina, secondo il
giudice, emerge anche dal fatto che, essendo prevista la nullità per un “non
atto” - per non aver provveduto anziché per aver mal provveduto – l’art. 185
c.p.p., che stabilisce gli effetti della dichiarazione di nullità, potrà essere
applicato solo analogicamente, con la conseguenza che, non essendo la nullità
accompagnata dall’espressa indicazione degli atti su cui si riversa, può
produrre effetti non sempre riconducibili chiaramente ai principi fondamentali
del processo. Infatti, se la nullità non si intende limitata al solo
procedimento incidentale relativo all’ammissione al patrocinio, potrebbe
estendersi ad ogni attività processuale successiva alla scadenza del termine,
con conseguente rinnovazione di ogni atto, se possibile, mentre invece
basterebbe prevedere che l’interessato riproponga l’istanza con efficacia
retroattiva al momento della prima presentazione.
Pertanto, conclude il
giudice, la norma impugnata, equiparando – rispetto alla sanzione della nullità
- quella che, al più, è un’irregolarità del processo ad ipotesi comportanti ben
più gravi anomalie, e, quindi, situazioni assolutamente diverse tra loro, viola
l’art. 3 della Costituzione che preclude al legislatore le arbitrarie
assimilazioni tra situazioni diverse, oltre che arbitrarie discriminazioni tra
situazioni identiche.
2. - E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque,
infondata.
2.1. - La difesa erariale, premesso che la questione deve
intendersi trasferita nei confronti dell’art. 96 del d.lgs. 30 maggio 2002, n.
113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di
giustizia), pur entrato in vigore prima dell’ordinanza di rimessione, si
sofferma sulle ragioni dell’inammissibilità, sotto il profilo del difetto di
rilevanza, sostenendo che la questione non presenta il carattere di
pregiudizialità necessaria ai fini della decisione da assumere nel procedimento
pendente innanzi al giudice rimettente.
Il Tribunale di sorveglianza,
precisa l’Avvocatura, collega la rilevanza alla valutazione del fumus boni iuris
del ricorso per cassazione e, con la questione proposta, tende a far venir meno
il fumus, riconosciuto esistente, nella prospettiva dell’eliminazione di un
vizio del provvedimento impugnato in Cassazione – attraverso l’espunzione
dall’ordinamento della norma comminatrice della nullità – al fine di negare la
richiesta sospensione. In sostanza, la questione sollevata non è funzionale
all’interesse dell’istante nel procedimento cautelare - che potrebbe subire
effetti irreparabili nelle more del gravame data anche la breve durata della
pena da espiare – ma alla salvaguardia del provvedimento emanato dallo stesso
Tribunale e impugnato in Cassazione dall’interessato, ed è strumentale non alla
decisione sul procedimento cautelare ma alla decisione che dovrà adottare la
Cassazione in ordine alla validità del provvedimento impugnato davanti ad essa.
In conclusione, il giudizio di rilevanza oltre che contraddittorio – in quanto
pur riconoscendo un periculm in mora per l’istante solleva la questione di
costituzionalità su di una norma che è di ostacolo non all’accoglimento ma al
rigetto dell’istanza cautelare – è falsato, avendo ad oggetto una norma della
quale non deve fare applicazione il giudice remittente, ma la
Cassazione.
2.3. - Nel merito, l’Avvocatura – premesso che l’effettività
del diritto di difesa e la parità delle parti ha assunto carattere prioritario
con le modifiche dell’art. 111 della Costituzione – sottolinea che la scelta
della nullità da parte del legislatore risponde all’esigenza di non privare
l’imputato dell’assistenza difensiva, nel periodo necessario all’accertamento
della veridicità delle condizioni economiche dichiarate, evitando inerzie
nell’attività difensiva. Aggiunge che la scelta non appare irragionevole,
essendo volta ad un procedimento celere e ad evitare ostacoli o ritardi
nell’attuazione della garanzia costituzionale prevista dall’art. 24, comma 3,
della Costituzione, i cui valori trascendono la portata soggettiva e sottendono
un ampio interesse generale, soprattutto per il patrocinio in materia penale,
perché solo se al non abbiente sono assicurati i mezzi per difendersi trova
ordinata esplicazione la potestà punitiva statale (sentenza n. 144 del 1992).
Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di sorveglianza di
Palermo ha dichiarato, con ordinanza, non estinta la pena residua (tre mesi di
reclusione) a seguito dell’esito negativo dell’affidamento in prova al servizio
sociale, senza decidere, nel termine di dieci giorni dal deposito, sulla
richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Avverso questo
provvedimento, il condannato ha proposto, da un lato, ricorso per cassazione
deducendo, fra l’altro, la nullità assoluta dello stesso per omessa decisione
sulla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e, dall’altro,
istanza di sospensione, ai sensi dell’art. 666, comma 7, c.p.p.,
dell’esecutività della ordinanza allo stesso Tribunale di sorveglianza di
Palermo.
Nel corso di questo secondo giudizio il giudice adito ha
sollevato, in riferimento all’articolo 3, comma 1, della Costituzione, sotto il
profilo del difetto di ragionevolezza, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 1, della legge 30 luglio 1990, n. 217, (Istituzione del
patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come modificato dall’art. 6,
comma 1, della legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990,
n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non
abbienti), nella parte in cui sanziona con la nullità assoluta ed insanabile la
mancata decisione, da parte del giudice adito, sull’istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato entro i dieci giorni dalla sua presentazione
fuori udienza.
2. - Va preliminarmente esaminata l’eccezione di
inammissibilità del ricorso, sotto il profilo del difetto di rilevanza,
sollevata dalla difesa erariale per il fatto che la questione non presenta il
carattere di pregiudizialità necessaria ai fini della decisione da assumere nel
procedimento pendente innanzi al giudice rimettente.
2. 1. - L’eccezione
è infondata.
In presenza di impugnazione, con ricorso per cassazione,
dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di estinzione della pena e di richiesta
al giudice a quo di sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza stessa,
quest’ultimo deve accertare il fumus boni iuris del ricorso proposto in sede di
legittimità.
Pertanto, ove con tale ricorso si denunzi la violazione
della norma che impone al giudice di provvedere, a pena di nullità assoluta, nei
dieci giorni dalla presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato, la valutazione della costituzionalità della norma violata –
con l’esercizio del potere-dovere di investire la Corte costituzionale della
cognizione di tale questione, qualora ritenga la questione di costituzionalità
non manifestamente infondata – non attiene alla fondatezza del ricorso proposto
innanzi alla Corte di cassazione, ma alla sussistenza o meno di uno dei
requisiti, cui è sottoposto il provvedimento di sospensione
richiesto.
E’, poi, evidente che l’eventuale accoglimento dell’eccezione
di costituzionalità, facendo venire meno il fumus boni iuris, influisce sulla
decisione relativa alla sospensione, mentre è irrilevante che la pronuncia del
giudice delle leggi finisca per incidere anche sul giudizio di legittimità.
3. - Il giudice rimettente deduce il contrasto della norma denunciata
con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del canone della
ragionevolezza, in quanto, mentre la norma costituzionale preclude al
legislatore arbitrarie assimilazioni tra situazioni diverse, viene equiparata –
quanto alla sanzione di nullità – quella che, al più, è una irregolarità del
processo, ad ipotesi che si riferiscono a gravi lesioni di diritti
costituzionalmente garantiti (ad esempio, quelle previste dagli artt. 179, comma
1, c.p.p., 604, comma 1, c.p.p. e 525 c.p.p.). Lo stesso rimettente rileva, poi,
che la norma denunciata – la quale sanziona con la nullità assoluta un “non
atto” e non già un atto viziato - potrebbe produrre effetti non sempre
riconducibili chiaramente ai principi fondamentali del processo, in quanto la
nullità potrebbe estendersi ad ogni attività processuale successiva alla
scadenza del termine, con conseguente rinnovazione di ogni atto, se possibile,
mentre, invece, basterebbe prevedere che l’interessato riproponga l’istanza con
efficacia retroattiva al momento della prima presentazione.
La questione
non è fondata.
La disposizione censurata, al momento dell’emanazione
dell’ordinanza di rimessione, era stata trasfusa, con alcune modificazioni che,
peraltro, non rilevano in ordine alla questione di legittimità costituzionale
sollevata dal giudice a quo, nell’art. 96, comma 1, del decreto legislativo 30
maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
spese di giustizia), sul quale la questione deve intendersi quindi
trasferita.
Come è noto il testo originario dell’art. 6 della legge n.
217 del 1990, prima delle modifiche apportate con la legge n. 134 del 2001, si
limitava a prevedere il termine di dieci giorni per la decisione sull’istanza di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato, senza stabilire alcuna conseguenza
sull’inosservanza del termine.
Proprio l’assenza di effettive sanzioni –
ove si escluda la individuazione di una responsabilità disciplinare, ai sensi
dell’art. 124 c.p.p. – finiva per condurre ad una abnorme quanto frequente
dilatazione dei termini stabiliti dal legislatore, così che l’istanza di
ammissione al patrocinio statale riceveva una risposta assai meno
tempestiva.
La protratta situazione di incertezza circa l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato determinava una inevitabile ed effettiva lesione
del diritto di difesa dell’interessato, ove si tenga presente che la tardiva
pronuncia sull’ammissibilità precludeva all’istante, in condizioni di indigenza,
il ricorso a tutta una serie di strumenti difensivi (quali, ad esempio,
l’estrazione gratuita delle copie degli atti processuali, la possibilità di
nominare un consulente tecnico o di affidare la raccolta del materiale
probatorio ad un investigatore privato autorizzato, con compensi anticipati
dallo Stato).
Per porre rimedio a tali situazioni, con le modifiche
apportate dalla legge n. 134 del 2001, l’inosservanza del termine è stata
sanzionata, ai sensi dell’art. 179, comma 2, c.p.p., con la nullità assoluta
degli atti compiuti successivamente al decorso del termine stesso – e non già
con la nullità del “non atto” come sostiene il giudice rimettente - e tale
previsione è stata trasfusa nell’art. 96 del d. lgs. n. 113 del 2002.
La
previsione della nullità è finalizzata alla garanzia dell’effettività del
diritto di difesa e sotto questo profilo deve escludersi l’irragionevolezza
della norma che presidia, con la nullità assoluta, un’attività processuale
scandita da termini a garanzia del diritto di difesa.
La questione è,
pertanto, non fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 30 luglio 1990, n. 217
(Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come
modificato dalla legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio
1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non
abbienti), trasfuso nell’art. 96, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio
2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di
giustizia), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di sorveglianza di Palermo con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA,
Presidente Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1
ottobre 2003.
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