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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Svolgimento del procedimento
1 – Con ordinanza del 10.5.2004 il
Presidente della Corte d’assise d’appello, in qualità di delegato del Presidente
della Corte di appello di Palermo, accogliendo parzialmente l’opposizione al
decreto del 7.1.2004 con cui la predetta Corte di assise aveva liquidato
all’avvocato Francesco Inzerillo la somma complessiva di euro 567,67, oltre
accessori di legge, come compenso per le prestazioni difensive svolte
nell’interesse di Pietro Guida, imputato ammesso al patrocinio a spese dello
Stato in un processo penale definito con sentenza del 21.6.2003, ha aumentato il
compenso sino alla complessiva somma di euro 727,84, oltre gli accessori di
legge.
In particolare, il Presidente ha disatteso la richiesta di
liquidazione per le prestazioni svolte dal sostituto dell’avvocato Inzerillo,
sul rilievo che il difensore dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello
Stato, a norma dell’art. 101 D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), può
nominare un sostituto solo per le indagini difensive. Ha negato altresì il
rimborso della somma di euro 10,00 corrisposta per il parere di congruità emesso
dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati.
2 – L’avvocato Inzerillo ha
proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendo violazione degli artt.
82 e 101 D.P.R. 30.5.2002 n. 115 e dell’art. 102 c.p.p., nonché violazione degli
artt. 125 e 546 c.p.p..
Più esattamente censura:
2.1 – la
mancata liquidazione delle prestazioni eseguite dal sostituto, avvocato Giuseppe
Inzerillo;
2.2 – il mancato rimborso della somma versata per il parere
di congruità rilasciato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati;
2.3 –
violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla indifferenziata
liquidazione di varie corrispondenze e sessioni, di cui in sede di opposizione
era stata richiesta una diversa e più elevata liquidazione, nonché in relazione
alla mancata liquidazione di alcuni accessi in cancelleria per richiesta e
ritiro di copia degli atti.
3 – Il ricorso è stato assegnato alla quarta
sezione di questa Corte, che lo ha rimesso alle Sezioni unite, rilevando un
contrasto di giurisprudenza sulla questione pregiudiziale dell’ammissibilità del
ricorso proposto personalmente dal difensore dell’imputato ammesso al patrocinio
a spese dello Stato, anche se iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in
Cassazione.
Invero, l’ammissibilità è data per scontata da molte
pronunce, che hanno deciso nel merito del ricorso senza affrontare ex professo
la questione della legittimazione a ricorrere da parte del difensore della
persona ammessa al beneficio (tra queste anche Sez. Un. n. 25080 del 28.5.2003,
Pellegrino). Devono iscriversi nello stesso filone giurisprudenziale anche
quelle sentenze che hanno escluso la legittimazione processuale del difensore
sol perché non iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione
previsto nell’art. 613, comma 1, c.p.p. (Sez. VI, del 18.10.2000, Bracciani, rv.
217804).
Ma recentemente altre decisioni hanno escluso l’ammissibilità
del ricorso proposto personalmente dal difensore in tema di liquidazione delle
proprie competenze professionali, sostenendo che nel relativo procedimento
incidentale, accessorio a un processo penale, si devono applicare le regole del
rito penale, le quali impongono che il ricorso per cassazione debba essere
presentato da un avvocato iscritto nell’apposito albo e consentono
eccezionalmente l’impugnazione personale solo per l’imputato (Sez. I, n. 37170
dell’8.8.2004, Larosa, rv. 230022; Sez. I, n. 48721 del 23.11.2004, Romano; Sez.
I, n. 405467 del 16.9.2004, De Cesare, rv. 230639; Sez. I, n. 44679 del
21.10.2004, Chiodo, rv. 230300).
Nella sua ordinanza di rimessione, la
quarta sezione ha inoltre osservato che la presente fattispecie processuale
presenta una questione subordinata, relativa alla interpretazione dell’art. 170
del D.P.R. 30.5.2002 n. 115, laddove questa norma stabilisce che l’opposizione
al decreto di liquidazione dei compensi deve essere proposta al “presidente
dell’ufficio giudiziario competente” e che “l’ufficio giudiziario procede in
composizione monocratica”. Il problema che si pone è quello di stabilire se la
espressione “composizione monocratica” concerna solo gli organi giudiziari per i
quali la composizione monocratica sia prevista nell’ordinamento giudiziario,
ovvero concerna anche gli organi giudiziari per i quali non è prevista una
composizione monocratica (come il tribunale di sorveglianza o la corte di
appello), in tali casi dovendosi attribuire la competenza al presidente
dell’organo.
4 – Il Procuratore generale in sede ha optato per
l’ammissibilità del ricorso, sostenendo che il difensore deve essere equiparato
all’imputato, quando difende un suo interesse patrimoniale alla liquidazione dei
compensi professionali; nel merito, ha concluso chiedendo l’annullamento con
rinvio della impugnata ordinanza limitatamente alla mancata liquidazione della
tassa/parere e del compenso per l’opera svolta dal sostituto processuale, e il
rigetto del ricorso nel resto.
Motivi della decisione
5 – La
questione pregiudiziale rimessa all’esame di queste Sezioni unite è se il
difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato sia legittimato a
proporre personalmente ricorso per cassazione contro il decreto di liquidazione
degli onorari e delle spese a lui spettanti per le prestazioni professionali
eseguite.
Al riguardo, giova anzitutto mettere a fuoco la disciplina
definita nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia, approvato con D.P.R. 30.5.2002 n. 115, che ha
sostanzialmente riprodotto, nella soggetta materia, le disposizioni già previste
dalla legge 30.7.1990 n. 217, istitutiva del patrocinio per i non abbienti, come
modificata dalla successiva legge 29.3.2001 n. 134.
Nella parte III del
testo unico, relativa al patrocinio a spese dello Stato, e nel titolo I,
contenente disposizioni generali, l’art. 82 stabilisce che l’onorario e le spese
spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria, in modo che non
superino i valori medi della tariffa professionale vigente, tenuto conto della
natura e della efficacia dell’impegno professionale.
A norma del
successivo art. 83, la liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o
grado del processo e, comunque, all’atto di cessazione dell’incarico,
dall’autorità giudiziaria che ha trattato il processo principale (salvo che per
il giudizio di cassazione, per il quale competente per la liquidazione è il
giudice di rinvio o quello di merito che ha pronunciato la sentenza passata in
giudicato). Il decreto di pagamento è comunicato al difensore e alle parti del
processo principale, compreso il pubblico ministero.
Secondo l’art. 84,
avverso il decreto di pagamento è ammessa opposizione ai sensi dell’art. 170.
Quest’ultimo articolo (inserito nella parte VI, relativa al pagamento, e
nel capo II, relativo al decreto di pagamento emesso dal magistrato) prevede
che, entro venti giorni dall’avvenuta comunicazione del decreto di pagamento, il
beneficiario e le parti del processo principale, compreso il pubblico ministero,
possono proporre opposizione al presidente dell’ufficio giudiziario competente;
che il relativo processo è quello speciale previsto per gli onorari di avvocato;
e che l’ufficio procede in composizione monocratica.
6 – In relazione a
queste norme, e a quelle corrispondenti previste dalla precedente legge
217/1990, la giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto che il
procedimento incidentale di liquidazione dei compensi professionali, in virtù
del suo carattere accessorio rispetto al processo penale principale, deve essere
trattato e deciso secondo le regole procedurali del rito penale (ex plurimis
Sez. Un., n. 25 del 24.11.1999, confl. giurisd. in proc. Di Dona; Sez. I, n.
48721 del 23.11.2004, Romano, cit.).
In materia è ormai pacificamente
affermata, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., la ricorribilità in
cassazione, per violazione di legge, del decreto di liquidazione emesso in sede
di opposizione, considerato il suo contenuto decisorio che incide con carattere
definitivo su diritti soggettivi, e che lo parifica sostanzialmente a una
sentenza (per tutte v. Sez. Un. Pen. n. 5 del 26.4.1989, Medea, rv. 181794; e,
per la giurisdizione civile, Sez. Un. Civ., n. 1952 dell’11.3.1996, rv. 496246).
Come ulteriore conseguenza di questa impostazione si è affermato che, in
tema di ricorso per cassazione contro il provvedimento di liquidazione dei
compensi professionali del difensore, quest’ultimo non è legittimato a
presentare personalmente il ricorso, ma, in forza dell’art. 613 c.p.p., deve
farsi rappresentare da (altro) difensore iscritto all’albo speciale (sent.
Romano, cit.).
Al riguardo, infatti, queste Sezioni unite avevano già
chiarito che la disposizione di cui al primo periodo del primo comma dell’art.
613 c.p.p., secondo la quale – in deroga alla regola generale della necessaria
sottoscrizione di un difensore iscritto all’albo speciale – è consentito alla
“parte” di sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione, è applicabile
solo nei confronti dell’imputato, atteso che le altre parti private diverse
dall’imputato, a norma dell’art. 100, comma 1, c.p.p., non possono stare in
giudizio se non “col ministero di un difensore munito di procura speciale” (Sez.
Un. n. 24 del 16.12.1998, Messina ed altro, rv. 212077).
Qualche anno
dopo, questa opzione ermeneutica era stata ribadita da un altro intervento del
supremo organo nomofilattico, secondo il quale la predetta disposizione
dell’art. 613 c.p.p. deve essere interpretata come ricognitiva della facoltà di
proposizione personale della impugnazione, che l’art. 571, comma 1, c.p.p.
riconosce al solo imputato: e ciò perché questa ultima disposizione,
configurandosi come deroga alla regola generale della rappresentanza tecnica,
deve essere interpretata restrittivamente, e quindi non può essere applicata
anche nei confronti di soggetti diversi dall’imputato, che non risultano in essa
contemplati (Sez. Un. n. 19 del 21.6.2000, Adragna, rv. 216336).
Seguendo questo percorso argomentativo si è costantemente esclusa la
legittimazione a ricorrere personalmente in cassazione in capo al custode di
cose sequestrate (sent. Adragna, cit.), alla persona offesa dal reato (sent.
Messina, cit.), al terzo estraneo al processo principale, che accampi il diritto
alla restituzione della cosa sequestrata (Sez. V, n. 711 del 9.2.1999, De
Vincenza, rv. 212780), all’imputato prosciolto che chieda la riparazione per
l’ingiusta detenzione patita (Sez. Un., ord. n. 34535 del 27.6.2001, Petrantoni,
rv. 219613; nonché Sez. IV n. 2722 del 9.5.2000, Chaidih, rv. 216231, sulla
esplicita considerazione che il richiedente non è assimilabile all’imputato, ma
piuttosto all’attore nel giudizio civile), e – da ultimo – in capo al
destinatario del provvedimento questorile che gli prescrive di presentarsi
presso gli uffici di polizia in concomitanza con determinate manifestazioni
sportive (Sez. III, n. 23855 del 14.6.2006, Carano, rv. 234140).
Le
summenzionate sentenze Larosa, Romano, De Cesare e Chiodo, quindi, sembrano non
far altro che applicare coerentemente questo consolidato orientamento
interpretativo anche al caso del difensore che propone ricorso per cassazione in
materia di liquidazione dei suoi compensi per le prestazioni professionali
svolte a favore di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato.
Risultano invece dissonanti quelle pronunce che ammettono implicitamente
la legittimazione processuale in capo al difensore iscritto nell’albo speciale,
che ricorre per cassazione in tema di liquidazione delle proprie spettanze
professionali (sentenze Pellegrino e Bracciani, succitate).
7 –
Sennonché, la conclusione delle menzionate sentenze Larosa, Romano, De Cesare e
Chiodo omette di considerare la portata normativa del predetto art. 170,
laddove, proprio in tema di liquidazione dei compensi professionali, opera
esplicitamente un rinvio formale alla procedura speciale prevista per gli
onorari di avvocato.
Questa procedura è attualmente regolata dagli artt.
28 e 29 della legge 13.6.1942 n. 794 secondo i tipici moduli del rito
civilistico. E’ previsto infatti che il capo dell’ufficio giudiziario adito
(presidente del Tribunale o della Corte di appello) fissi la comparizione degli
interessati in camera di consiglio, con decreto da notificare a cura della parte
istante; che venga esperito obbligatoriamente un tentativo di conciliazione; che
non sia obbligatorio il ministero del difensore; e che si applichi l’art. 92,
ultimo comma, c.p.c., secondo cui, se le parti si sono conciliate, le spese
processuali si intendono compensate, salvo che le parti abbiano diversamente
convenuto nel processo verbale di conciliazione. L’unica eccezione che l’art.
170 prevede rispetto a questa procedura è che il rito camerale si svolge davanti
al giudice monocratico e non davanti al collegio. Con tutta evidenza, si tratta
di una procedura che è connotata da estrema semplicità e rapidità, in relazione
al carattere elementare della controversia.
Ebbene, questo rinvio non
può essere svuotato del suo specifico significato normativo. Esso comporta
l’applicazione di regole processualcivilistiche in tema di termini per proporre
opposizione avverso il decreto di liquidazione (che è di venti giorni dalla
comunicazione del decreto, ai sensi dello stesso art. 170, comma 1, e non di
quindici giorni ai sensi dell’art. 585 c.p.p.), di capacità di stare in giudizio
e di rappresentanza tecnica nel processo, e infine in tema di onere della prova
sui diritti controversi e di ripartizione delle spese processuali. Questa
disciplina processuale, del resto, è perfettamente coerente con la natura del
rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che ha per oggetto solo interessi
patrimoniali. Analoga impostazione è stata configurata per esempio in tema di
procedimento relativo alla riparazione per ingiusta detenzione di cui agli artt.
314 ss. c.p.p., nel quale un rapporto di natura civile è inserito in una
procedura che si svolge davanti al giudice penale (così Sez. Un., n. 8 del
12.3.1999, Min. Tesoro in proc. Sciamanna, rv. 213509).
In questo senso,
la procedura di liquidazione dei compensi dovuti al difensore di persona ammessa
al patrocinio a spese dello Stato, quando accede a un processo penale, è di tipo
misto, perché segue le regole del rito penale per quanto riguarda la competenza
del giudice, e segue le regole del rito civile per quanto riguarda i termini per
l’opposizione, la legittimazione processuale, l’onere della prova e il carico
delle spese processuali.
Ne consegue in particolare che: a) si applica
l’art. 82 c.p.c., laddove prevede che davanti alla Corte di cassazione le parti
possono stare in giudizio solo col ministero di un avvocato iscritto
nell’apposito albo; b) si applica soprattutto l’art. 86 c.p.c., secondo cui,
quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con
procura presso il giudice adito, la parte può stare in giudizio senza il
ministero di altro difensore; c) si applica infine l’art. 365 c.p.c., secondo
cui il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto, a pena di
inammissibilità, da un avvocato iscritto all’apposito albo, munito di procura
speciale.
Per effetto della applicabilità di queste norme la difesa
personale è ammessa quando la parte privata sia abilitata a esercitare l’ufficio
di difensore presso il giudice adito, e quindi, nel giudizio di legittimità,
quando la parte sia anche iscritta nell’apposito albo (per il processo civile v.
Cass. Civ. Sez. Un. n 3879 del 6.7.1979, rv. 400343).
Come ha
esattamente chiarito la giurisprudenza di legittimità in sede civile, l’art. 365
c.p.c., laddove impone la procura speciale per il difensore, non trova
applicazione allorquando la parte ricorrente o la persona che agisca per suo
conto, avendo il potere di rappresentarla sul piano sostanziale, hanno la
qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore davanti alla Corte di
cassazione, ed in tale veste sottoscrivano rispettivamente il ricorso, poiché in
tal caso, ai sensi dell’art. 86 c.p.c., non è necessario che essi ricorrano ad
altro difensore e si muniscano di procura alle liti per esercitare l’ufficio di
difensore (Cass. Civ. Sez. III, n. 8738 del 276.6.2001, rv. 547749).
Si
deve quindi affermare il principio secondo cui il difensore, purché iscritto
nell’albo speciale dei patrocinanti davanti alle magistrature superiori, è
legittimato a presentare personalmente il ricorso per cassazione in materia di
liquidazione delle sue competenze professionali, anche se il relativo
procedimento incidentale è accessorio a un processo penale principale.
Questa conclusione, in conseguenza del menzionato carattere misto della
procedura, si configura come una ulteriore specifica eccezione (accanto a quella
dell’imputato) rispetto al principio generale processualpenalistico della
rappresentanza tecnica delle parti, consacrato nel combinato disposto degli
artt. 100, 571 e 613 c.p.p.; e nello stesso tempo come una applicazione del
principio generale processualcivilistico della difesa personale della parte
abilitata alla professione di avvocato, proclamato nell’art. 86 c.p.c..
Che il ricorso per cassazione contro l’ordinanza che ha deciso in sede
di opposizione sulla liquidazione delle competenze professionali debba essere
sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo speciale, è
costantemente affermato anche dalla giurisprudenza civile (Sez. II, n. 1375 del
18.2.1999, rv. 523354).
In tal modo resta soddisfatta quella esigenza di
razionalità che era evidentemente sottesa a tutto l’orientamento
giurisprudenziale che, esplicitamente o implicitamente, riconosceva la
legittimazione dell’avvocato cassazionista a proporre personalmente ricorso
nella materia de qua: e cioè l’esigenza di evitare l’assurdo che in una
controversia su diritti di credito quell’avvocato sia abilitato a difendere e
rappresentare gli altri, ma non sia capace a stare in giudizio per se stesso,
essendo costretto a ricorrere al ministero di un altro difensore.
Non
occorre sottolineare che questo approdo ermeneutico da una parte conforta la
menzionata decisione delle Sezioni unite sul ricorso Pellegrino, laddove ha
ritenuto (implicitamente) la legittimazione personale a ricorrere in capo al
difensore; e dall’altra non falsifica l’impianto esegetico utilizzato dalle
altre pronunce delle Sezioni unite nei ricorsi Messina e Petrantoni, e in genere
da tutto quel menzionato filone giurisprudenziale secondo cui solo l’imputato
può presentare personalmente ricorso per cassazione.
Presupposto di
questo filone giurisprudenziale, infatti, era che la regola generale della
rappresentanza tecnica nel processo penale potesse essere derogata solo da una
specifica disposizione di legge. Orbene, specifica disposizione derogatoria non
è solo quella di cui all’art. 571, comma 1, c.p.p. a favore dell’imputato, ma
anche quella di cui all’art. 170 D.P.R. 215/2002, in relazione all’art. 29 legge
794/1942 e agli artt. 86 e 365 c.p.c., a favore del difensore iscritto
nell’apposito albo per patrocinare davanti alle magistrature superiori.
A questo punto, occorre precisare che, come tutte le deroghe a principi
generali, anche quella relativa alla legittimazione personale del difensore a
ricorrere per cassazione (se iscritto nell’apposito albo) è di stretta
interpretazione, e per conseguenza non può essere estesa a favore di custodi o
di altri ausiliari del magistrato che per avventura rivestano la qualità di
avvocati (per giunta iscritti nell’albo speciale). Solo nella prima ipotesi,
infatti, sussiste un nesso ontologico tra la qualità di avvocato (cassazionista)
e quella di professionista che agisce per la liquidazione delle sue competenze
professionali; mentre nella seconda ipotesi quel nesso è soltanto accidentale.
In altri termini, il rinvio formale operato dall’art. 170 D.P.R. 215/2002, che è
il fondamento normativo della deroga al principio processualpenalistico della
rappresentanza tecnica, ha per contenuto la procedura speciale prevista per gli
onorari di avvocato, e indirettamente le regole processuali stabilite dagli
artt. 86 e 365 c.p.c.. Ha cioè per contenuto fattispecie processuali nelle quali
il titolare del diritto sostanziale dedotto in giudizio è lo stesso avvocato
personalmente legittimato ad agire in giudizio. Nel caso degli ausiliari del
magistrato, invece, questa coincidenza essenziale non è data.
8 – Resta
ora da affrontare la seconda questione prospettata dall’ordinanza di rimessione,
relativa alla composizione monocratica del giudice chiamato a decidere sulla
opposizione in tema di liquidazione dei compensi professionali.
Invero,
in tema di opposizione al decreto di pagamento delle competenze professionali,
il più volte citato art. 170 del testo unico sulle disposizioni in materia di
spese di giustizia, riproducendo le omologhe disposizioni dettate dall’art. 11
della legge 8.7.1980 n. 319 e dall’art. 12 della legge 30.7.1990 n. 217, come
modificata dalla legge 29.3.2001 n. 134, ha richiamato la speciale procedura
camerale stabilita per la liquidazione degli onorari agli avvocati, ma ha
espressamente sostituito la composizione collegiale prevista dalla disciplina
vigente (art. 29 legge 13.6.1942 n. 794) con la composizione monocratica del
giudice competente.
Si tratta quindi di decidere se questa innovazione
risponde o no al criterio direttivo stabilito nella relativa legge delega n. 50
dell’8.3.1999, la quale nell’art. 7, comma 2, lett. b), delegava il Governo a
emanare testi unici nella soggetta materia attraverso il “coordinamento formale
del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto
coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e
sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il
linguaggio normativo”.
La questione è stata già sollevata davanti al
giudice delle leggi da alcuni tribunali in composizione monocratica nel corso di
vari procedimenti, ora in materia di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato, ora in materia di liquidazione dei compensi professionali, ed è stata
sempre dichiarata infondata o manifestamente infondata (rispettivamente sent.
53/2005, ord. 289/2005, nonché sent. 52/2005 relativamente al tema analogo
dell’art. 99, comma 3, D. Lgs. 30.5.2002 n. 113).
Ha osservato la Corte
costituzionale che “se obiettivo [della delega] è quello della coerenza logica e
sistematica della normativa, il coordinamento non può essere solo formale, come
non ha mancato di sottolineare anche il Consiglio di Stato nel parere espresso
nel corso della procedura di approvazione del testo unico”. Ha inoltre rilevato
che “se l’obiettivo è quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata
negli anni” il testo unico poteva innovare per raggiungere coerenza logica e
sistematica tra la disciplina esistente, che prevedeva la composizione
collegiale del giudice competente a decidere, e il nuovo principio generale
introdotto dal D.Lgs. 19.2.1998 n. 51 (Norme in materia di istituzione del
giudice unico di primo grado), in base al quale il giudice monocratico è la
regola, mentre quello collegiale costituisce un eccezione (sent. 53/2005).
Questa importante conclusione – come rileva l’ordinanza della quarta
sezione rimettente – sembra però lasciare irrisolto il problema per quegli
uffici giudiziari, come la Corte d’appello e il Tribunale di sorveglianza, per i
quali l’ordinamento giudiziario non prevede la possibilità che la relativa
funzione giurisdizionale sia esercitata anche in composizione monocratica.
E tuttavia ritiene il Collegio che la ratio che ispira le suddette
pronunce della Consulta possa e debba valere anche in relazione alla Corte
d’appello e al Tribunale di sorveglianza. Invero, prima di sollevare questione
di legittimità costituzionale per eccesso di delega del succitato art. 170,
comma 2, nella parte in cui prevede il giudizio in composizione monocratica
anche per la Corte d’appello e il Tribunale di sorveglianza, il giudice deve
saggiare la possibilità di una interpretazione adeguatrice che salvi la
costituzionalità della norma sospettata.
Sotto questo profilo, è vero
che la legge 16.7.1997 n. 254 (Delega al Governo per l’istituzione del giudice
unico di primo grado) e il conseguente art. 14 del D.Lgs. 19.2.1998 n. 51 (Norme
in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) introducono la
regola del giudice monocratico e l’eccezione del giudice collegiale propriamente
solo per gli uffici giudiziari di primo grado (art. 1, lett. a) c) e d), della
legge 254/1997).
Ma è altrettanto vero che:
a) anche il
Tribunale di sorveglianza esercita importanti funzioni come giudice di prima
istanza (art. 70, comma 1, legge 26.7.1975 n. 354);
b) la stessa Corte
di appello ha competenze di primo grado sia come giudice penale, in materia di
estradizione (art. 704 c.p.p.), di riconoscimento di sentenze straniere (art.
734 c.p.p.) e ora anche in materia di mandato di arresto europeo (art. 17 legge
22.4.2005 n. 69), sia come giudice civile, in materia bancaria, creditizia e di
intermediazione finanziaria (art. 145 D.Lgs. 1.9.1993 n. 385 e art. 195 D.Lgs.
24.2.1998 n. 58, ora richiamati dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 17.1.2003 n. 5);
c) l’opposizione prevista dall’art. 170 non è propriamente un mezzo di
impugnazione, ma è piuttosto un rimedio giuridico straordinario che si propone
al presidente dello stesso ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento
oggetto dell’opposizione, e non già a un organo giudiziario sovraordinato:
sicché, sotto questo profilo, le corti di appello e i tribunali di sorveglianza
chiamati a provvedere ex art. 170 in tema di liquidazione dei compensi
professionali sono equiparabili a organi giudiziari di primo grado, perché
esercitano le stesse funzioni dei giudici di prima istanza, sia pure in sede di
opposizione.
Tutti questi elementi consentono di ritenere che anche per
il Tribunale di sorveglianza e per la Corte di appello che, con la stessa
cognitio causae del primo giudice, giudicano in sede di opposizione sulla
liquidazione dei compensi professionali, valga sempre la regola generale del
giudice in composizione monocratica affermata dal legislatore del 1998. Alla
luce del principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.,
e in ossequio alle esigenze costituzionalmente rilevanti di buona
amministrazione, rapidità delle funzioni ed economia delle risorse, si deve
insomma ritenere che quello del giudice monocratico sia un principio tendenziale
già affermato nell’evoluzione dell’ordinamento per le controversie più semplici
ed elementari, come sono quelle relative agli onorari professionali: principio
che quindi il legislatore delegato poteva prendere in considerazione nel compito
di coordinamento formale e di adeguamento sistematico delle norme al quale
doveva attendere per l’elaborazione del testo unico di cui si tratta.
In
questo senso, si deve affermare che rientrava nei limiti della delega sostituire
il giudice monocratico al giudice collegiale nella procedura di opposizione in
tema di liquidazione dei compensi professionali, anche per i casi in cui la
competenza appartiene al Tribunale di sorveglianza o alla Corte di appello,
perché anche in questi casi quella sostituzione rispondeva all’imperativo di
adattamento sistematico del testo unico alla predetta evoluzione normativa. E’
evidente poi che in questi casi il giudice monocratico va identificato con il
presidente dell’ufficio giudiziario o con il giudice da lui delegato.
Né
si potrebbe obiettare che in tal modo il legislatore delegato, in violazione
dell’art. 102 Cost., ha istituito un nuovo giudice non previsto dall’ordinamento
giudiziario, poiché il Tribunale di sorveglianza e la Corte d’appello sono
evidentemente organi giudiziari già stabiliti dall’ordinamento; oppure che lo
stesso legislatore delegato ha delineato una nuova competenza giurisdizionale,
violando la riserva assoluta di legge imposta al riguardo dall’art. 25 Cost,
giacché – come ha già osservato la Corte costituzionale nelle pronunce succitate
– la norma sospettata di cui all’art. 170, comma 2, disciplina la composizione
dell’organo giudicante e non certo la sua competenza.
Concludendo sul
punto, si deve affermare che il processo per l’opposizione in materia di
liquidazione dei compensi professionali dell’avvocato, quando è di competenza
del Tribunale di sorveglianza o della Corte d’appello, deve essere trattato dai
rispettivi presidenti o da giudici da essi delegati.
9 – Quanto al
merito, il ricorso è fondato nei limiti appresso indicati.
La impugnata
ordinanza ha escluso la liquidazione delle prestazioni svolte dal sostituto
processuale dell’avvocato Francesco Inzerillo, osservando che l’unica ipotesi in
cui il difensore della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha
diritto a siffatto rimborso è quella prevista dall’art. 101 del D.P.R. 30.5.2002
n. 115, e che tale ipotesi non ricorreva nel caso concreto.
La tesi è
però infondata. L’art. 101 prevede che il difensore della persona ammessa al
beneficio può nominare un sostituto (o un investigatore privato) al fine di
svolgere attività di investigazione difensiva. Ma la disposizione non ha
carattere esclusivo: sicché, come hanno già chiarito queste Sezioni unite, quel
difensore può nominare un sostituto anche per tutte le altre attività per le
quali la sostituzione è prevista dalle norme di rito, e per conseguenza ha
diritto al relativo compenso ( Sez. Un. n. 30433 del 30.6.2004, Turrisi, rv.
228231-33).
La ordinanza ha anche illegittimamente escluso il rimborso
della somma versata dall’avvocato Inzerillo per il parere di congruità della
notula rilasciato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati.
Poiché a
norma dell’art. 82, comma 1, D.P.R. 115/2002 è onere del difensore che chiede la
liquidazione delle sue spettanze munirsi del parere del Consiglio dell’Ordine
sulla congruità degli onorari professionali richiesti, la c.d. tassa di parere o
di opinamento versata a questo titolo allo stesso Consiglio deve ritenersi
ripetibile in forza del generale principio civilistico stabilito dall’art. 1196
c.c., secondo cui le spese di pagamento sono a carico del debitore (Cass. Sez.
I, n. 25682 del 12.5.2004, P.M. in proc. Vella, rv. 228204; nonché Cass. Sez.
IV, n. 13271 del 28.1.2004, P.M. in proc. Piscitello, rv. 228201; Cass. Sez. IV,
n. 20227 del 9.3.2004, P.M. in proc. Vitale, rv. 228203; Cass. Sez. IV, n. 23620
del 1.4.2004, P.G. in proc. La Rosa, rv. 228792, e altre).
Anche la
liquidazione indifferenziata di corrispondenze e sessioni, senza distinguere tra
informative, sessioni in studio e sessioni fuori studio, come specificate dal
difensore nella sua richiesta, configura una violazione della tariffa forense e
dei criteri stabiliti dal citato art. 82 del D.P.R. 115/2002, atteso che per
ciascuna delle anzidette prestazioni la tabella allegata al D.M. n. 585 del
5.10.1994 prevede tariffe differenziate.
Le altre censure sollevate dal
ricorrente non configurano violazione o erronea applicazione di norme di legge,
ma solo vizi di motivazione, e come tali sono precluse in questa sede.
L’ordinanza va quindi annullata, con rinvio alla Corte d’appello di
Palermo, che in composizione monocratica, per mezzo del suo presidente o di un
delegato del medesimo, procederà a nuovo esame nel rispetto dei principi sopra
affermati.
P.Q.M.
la Corte suprema di cassazione, a sezioni
unite, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo.
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