Corte Suprema di Cassazione Sentenza n. 23592 del 20 maggio 2004 Sezione Quarta Penale

                                                                                LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                                                                                             

 SEZIONE IV PENALE
composta dai signori magistrati:
dott. Giovanni Silvio Coco Presidente
dott. Enzo Costanzo Consigliere
dott. Benito Romano De Grazia Consigliere
dott. Silvana Iacopino Consigliere
dott. Patrizia Piccialli Consigliere
riuniti in camera di consiglio,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di
Appello di Palermo
avverso l'ordinanza in data 21.2.2003 della Corte di Appello di
Palermo nell'ambito del procedimento a carico di B. A., n. a
...omissis... il ...omissis...;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Patrizia Piccialli;
letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, nella persona
del sost. Proc. Gen. Dott. Loris D'Ambrosio, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

 

Fatto-Diritto

Il P.G. presso la Corte di Appello di Palermo propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con la quale la Corte di Appello della stessa città, in parziale riforma del decreto 8.10.2002, ha ridotto il compenso al difensore Roberto Panepinto per l'attività prestata in favore di B. A., imputato ammesso al gratuito patrocinio.
Con un unico motivo lamenta la violazione dell'art. 82 DPR 115/2002 giacché la Corte avrebbe liquidato al difensore anche l'importo della tassa da lui pagata al Consiglio dell'Ordine per ottenerne il parere previsto dall'art. 82 cit,. quale presupposto per il conseguimento della liquidazione degli onorari, diritti ed indennità di avvocato.
Sul punto, sostiene il ricorrente, che nessuna disposizione legislativa prevede il pagamento della cd. tassa parere del Consiglio dell'Ordine, che sarebbe comunque tenuto a formularlo anche su semplice richiesta dell'A.G; inoltre, l'esborso di questa tassa - in realtà non un tributo, ma un corrispettivo di una prestazione richiesta ed eseguita in regime di autonomia negoziale - non sarebbe correlato con attività difensive svolte nell'interesse del non abbiente, ma con attività effettuate nell'esclusivo interesse dell'appartenente all'ordine professionale e come tale non sarebbe ripetibile.
Il ricorso è infondato, giacché basato su una inesatta interpretazione della normativa di settore.
L'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidate dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall'art. 82 D.P.R. n. 115/2002, previo parere del Consiglio dell'Ordine.
Tale parere, secondo i principi più volte affermati da questa Corte, non è vincolante.
Il parere di congruità del Consiglio dell'Ordine è infatti vincolante solo in sede di emissione del decreto ingiuntivo, ma non in sede di liquidazione delle spese, diritti ed onorari di giudizio, essendo il giudice, in questo caso, solo tenuto ad indicare, sia pure sommariamente, qualora se ne discosti, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta, al fine di consentire il controllo sulla legittimità della decisione (ex pluribus, Cass. Civ., sez. II, 20 settembre 2002, n. 13743, O. c. P.; e Cass. Civ., Sez. II, 4 giugno 2001, n. 7487, V. c. M.).
Pur non essendo vincolante, tale parere è obbligatorio e, proprio in considerazione di tale natura, le spese sostenute per il suo rilascio rientrano tra quelle per le quali è prevista la liquidazione a carico dell'Erario.
Se è vero, infatti, che l'esborso di questa tassa è correlato con attività effettuate nell'esclusivo interesse dell'appartenente all'Ordine professionale, non può neanche essere posto in dubbio che tale spesa è strettamente connessa con la prestazione dell'attività difensiva svolta nell'interesse dell'imputato, costituendo il presupposto essenziale per il conseguimento della liquidazione.
La necessarietà di tale presupposto, costituita dalla legge, non può conseguentemente fare carico al difensore che così verrebbe a subire una ingiusta decurtazione delle proprie competenze professionali, ove le spese indispensabili per la produzione della documentazione finalizzata alla proposizione della istanza di liquidazione (quali sono quelle connesse al rilascio di detto parere) dovessero rimanere, in quanto non ripetibili, a carico del difensore o della parte beneficiaria del servizio.
La Corte di Appello ha pertanto fatto corretta applicazione della disciplina di settore laddove ha ritenuto che la tassa parere, costituendo una spesa viva che il difensore deve sostenere per conseguire il parere di congruità dei compensi, richiesto dalla legge, deve essere liquidata al difensore nella sua interezza, a prescindere dalla riduzione operata dal giudice sulle somme inizialmente richieste.
Tale decisione appare inoltre in linea con il principio civilistico in materia di obbligazioni, secondo il quale le spese sono normalmente incluse nella prestazione della controparte (v. art. 1196 c.c.).
La norma richiamata comporta che il debitore non solo non può chiedere il rimborso delle spese immediatamente subite, ma deve anche rimborsare al creditore le spese da questi affrontate per ottenere l'adempimento (giudiziali e stragiudiziali) o che comunque siano conseguenza di questo. Rientrano in tale accezione, oltre i costi materiali, anche i costi giuridici, cioè le tasse e gli oneri fiscali inerenti alle attività finalizzate all'esecuzione della prestazione.

P.Q.M

dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma il 4 marzo 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 20 MAG. 2004.