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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE composta dai signori magistrati: dott. Giovanni Silvio Coco Presidente dott. Enzo Costanzo Consigliere dott. Benito Romano De Grazia Consigliere dott. Silvana Iacopino Consigliere dott. Patrizia Piccialli Consigliere riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo avverso l'ordinanza in data 21.2.2003 della Corte di Appello di Palermo nell'ambito del procedimento a carico di B. A., n. a ...omissis... il ...omissis...; udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Patrizia Piccialli; letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, nella persona del sost. Proc. Gen. Dott. Loris D'Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto-Diritto
Il P.G. presso la Corte di Appello di Palermo propone ricorso per
cassazione avverso l'ordinanza con la quale la Corte di Appello della stessa
città, in parziale riforma del decreto 8.10.2002, ha ridotto il compenso al
difensore Roberto Panepinto per l'attività prestata in favore di B. A., imputato
ammesso al gratuito patrocinio. Con un unico motivo lamenta la violazione
dell'art. 82 DPR 115/2002 giacché la Corte avrebbe liquidato al difensore anche
l'importo della tassa da lui pagata al Consiglio dell'Ordine per ottenerne il
parere previsto dall'art. 82 cit,. quale presupposto per il conseguimento della
liquidazione degli onorari, diritti ed indennità di avvocato. Sul punto,
sostiene il ricorrente, che nessuna disposizione legislativa prevede il
pagamento della cd. tassa parere del Consiglio dell'Ordine, che sarebbe comunque
tenuto a formularlo anche su semplice richiesta dell'A.G; inoltre, l'esborso di
questa tassa - in realtà non un tributo, ma un corrispettivo di una prestazione
richiesta ed eseguita in regime di autonomia negoziale - non sarebbe correlato
con attività difensive svolte nell'interesse del non abbiente, ma con attività
effettuate nell'esclusivo interesse dell'appartenente all'ordine professionale e
come tale non sarebbe ripetibile. Il ricorso è infondato, giacché basato su
una inesatta interpretazione della normativa di settore. L'onorario e le
spese spettanti al difensore sono liquidate dal magistrato nella misura e con le
modalità previste dall'art. 82 D.P.R. n. 115/2002, previo parere del Consiglio
dell'Ordine. Tale parere, secondo i principi più volte affermati da questa
Corte, non è vincolante. Il parere di congruità del Consiglio dell'Ordine è
infatti vincolante solo in sede di emissione del decreto ingiuntivo, ma non in
sede di liquidazione delle spese, diritti ed onorari di giudizio, essendo il
giudice, in questo caso, solo tenuto ad indicare, sia pure sommariamente,
qualora se ne discosti, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto
oppure dovuto in misura ridotta, al fine di consentire il controllo sulla
legittimità della decisione (ex pluribus, Cass. Civ., sez. II, 20 settembre
2002, n. 13743, O. c. P.; e Cass. Civ., Sez. II, 4 giugno 2001, n. 7487, V. c.
M.). Pur non essendo vincolante, tale parere è obbligatorio e, proprio in
considerazione di tale natura, le spese sostenute per il suo rilascio rientrano
tra quelle per le quali è prevista la liquidazione a carico dell'Erario. Se è
vero, infatti, che l'esborso di questa tassa è correlato con attività effettuate
nell'esclusivo interesse dell'appartenente all'Ordine professionale, non può
neanche essere posto in dubbio che tale spesa è strettamente connessa con la
prestazione dell'attività difensiva svolta nell'interesse dell'imputato,
costituendo il presupposto essenziale per il conseguimento della
liquidazione. La necessarietà di tale presupposto, costituita dalla legge,
non può conseguentemente fare carico al difensore che così verrebbe a subire una
ingiusta decurtazione delle proprie competenze professionali, ove le spese
indispensabili per la produzione della documentazione finalizzata alla
proposizione della istanza di liquidazione (quali sono quelle connesse al
rilascio di detto parere) dovessero rimanere, in quanto non ripetibili, a carico
del difensore o della parte beneficiaria del servizio. La Corte di Appello ha
pertanto fatto corretta applicazione della disciplina di settore laddove ha
ritenuto che la tassa parere, costituendo una spesa viva che il difensore deve
sostenere per conseguire il parere di congruità dei compensi, richiesto dalla
legge, deve essere liquidata al difensore nella sua interezza, a prescindere
dalla riduzione operata dal giudice sulle somme inizialmente richieste. Tale
decisione appare inoltre in linea con il principio civilistico in materia di
obbligazioni, secondo il quale le spese sono normalmente incluse nella
prestazione della controparte (v. art. 1196 c.c.). La norma richiamata
comporta che il debitore non solo non può chiedere il rimborso delle spese
immediatamente subite, ma deve anche rimborsare al creditore le spese da questi
affrontate per ottenere l'adempimento (giudiziali e stragiudiziali) o che
comunque siano conseguenza di questo. Rientrano in tale accezione, oltre i costi
materiali, anche i costi giuridici, cioè le tasse e gli oneri fiscali inerenti
alle attività finalizzate all'esecuzione della prestazione.
P.Q.M
dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma il 4 marzo
2004. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 20 MAG. 2004.
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