Corte Suprema di Cassazione Sentenza n. 20083 del 17 maggio 2001 Sezione Sesta Penale

                                                                                MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con provvedimento del 25 novembre 1999 il tribunale di Catania, nell'esercizio di un asserito "potere di autotutela, da ritenersi esercitabile dal giudice nei confronti degli atti non a contenuto giurisdizionale dallo stesso posti in essere", revocava il decreto con cui il giudice per le indagini preliminari aveva ammesso l'imputato B. M. al patrocinio a spese dello Stato, osservando che i precedenti giudiziari per reati contro il patrimonio inducevano a ritenere che lo stesso disponesse di un reddito superiore a quello dichiarato nonché al limite previsto dalla legge per l'ammissione al beneficio.

Avverso detto provvedimento B. M. ha proposto ricorso per cassazione e nei motivi denuncia:

la violazione dell'articolo 10 comma 2 legge 217/90, perché l'inesistenza delle condizioni di non abbienza poteva essere accertata e fatta valere soltanto tramite la richiesta dell'intendente di finanza;

violazione dell'articolo 10 cit. e vizio di motivazione, perché la legge prevede che si proceda alla revoca del provvedimento di ammissione "quando risulti provata la mancanza delle condizioni di reddito di cui all'articolo 3", mentre, nel caso di specie, il giudice, prescindendo da ogni concreta indagine patrimoniale, dal mero esame del certificato penale ha presunto la disponibilità di un reddito superiore al limite di legge.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Il giudice a quo, con la decisione impugnata, ha revocato il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sul presupposto che l'imputato B. M. avesse disponibilità di reddito, ancorché illecite, superiori al limite stabilito dall'articolo 3 legge 30 luglio 1990, n. 217. La decisione adottata si colloca, dunque, nella tipologia di provvedimenti previsti dal secondo comma dell'articolo 10 legge citata, che attribuisce al giudice il potere-dovere di revocare in ogni momento l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato "quando risulti provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui all'articolo 3", aggiungendo che, avverso l'ordinanza del giudice, può essere proposto ricorso per cassazione.

Altre ipotesi di revoca, di tipo formale, sono previste dal primo comma del citato articolo 10, per il caso che l'interessato non provveda a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito o a presentare la prescritta documentazione, ovvero se, a seguito della prescritta comunicazione annuale, le condizioni di reddito risultino variate in misura tale da escludere l'ammissione al beneficio; e contro tale decisione è proponibile ricorso davanti al tribunale o alla Corte d'appello cui appartiene il giudice che ha provveduto; e l'ordinanza che decide sul ricorso è a sua volta impugnabile con il ricorso per cassazione.

Alla stregua della cennata disciplina legislativa, il potere di revoca in discorso non può essere ritenuto espressione della generale potestà di autotutela di cui è titolare la pubblica amministrazione, bensì esercizio del potere giurisdizionale conferito al giudice per il riconoscimento di un diritto costituzionalmente tutelato.

Infatti, come ha esattamente chiarito la Corte costituzionale nell'ordinanza 144/99, il giudice, nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello Stato, "esercita appieno una funzione giurisdizionale avente ad oggetto l'accertamento della sussistenza di un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale, sicché i provvedimenti nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti di giurisdizione, revocabili dal giudice nei limiti e sui presupposti espressamente previsti, e rimuovibili, negli altri casi, solo attraverso gli strumenti di impugnazione, che nella specie sono quelli previsti dalla legge che istituisce il patrocinio a spese dello Stato".

Nel caso concreto, il provvedimento impugnato - la cui emissione costituisce, per quanto appena detto, esercizio di potere giurisdizionale e non amministrativo - è illegittimo, perché, come ha esattamente rilevato il ricorrente, è stato adottato senza la richiesta dell'intendente di finanza (ora Direzione regionale delle entrate), richiesta che rappresenta la condizione processuale indispensabile per iniziare il procedimento incidentale di revoca previsto dal secondo comma dell'articolo 10 legge citata.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, in esso assorbito il secondo, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

                                                                                 PER QUESTI MOTIVI

la Corte di cassazione annulla senza rinvio l'impugnata ordinanza.