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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta da: Ugo RIGGIO Presidente Antonino ELEFANTE Consigliere Matteo IACUBINO Consigliere Carlo CIOFFI Consigliere relatore Giovanna SCHERILLO Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: BALSANO Fortunata, avvocata, in giudizio di persona, elettivamente domiciliata in Roma, via della Giuliana n. 82, presso l'avv. Ebe Mele; - ricorrente - contro PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI PALERMO, domiciliato preso l'Avvocatura Generale dello Stato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e dalla stessa difeso; - controricorrente - avverso il provvedimento del Presidente della Corte d'Appello di Palermo del 5 novembre 1997. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 giugno 1999 dal consigliere Carlo Cioffi; Udito l'avv. Fortunata Balsano; Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Francesco Mele, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Fatto
L'avv. Fortunata Balsano fu incaricata dalla Commissione per il gratuito
patrocinio del Tribunale di Palermo di difendere Dorotea Sbigottiti nel giudizio
di separazione personale da suo marito Giuseppe Gioè. Assolto l'incarico, e
definito tale giudizio, l'avv. Fortunata Balsano chiese al Presidente del
Tribunale di Palermo la liquidazione delle relative spese giudiziali, ossia
degli onorari, competenze e spese vive, ivi comprese quelle per l'espletata
procedura di correzione di un errore materiale della sentenza. La domanda
venne rigettata. L'avv. Fortunata Balsano propose reclamo, che la Corte
d'Appello di Palermo, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha
rigettato. La Corte ha osservato che la reclamante aveva prestato il suo
patrocinio in un giudizio di separazione personale, ed è dunque applicabile la
disciplina prevista dal RD. 30 dicembre 1923 n. 3282, a termini del quale il
difensore designato del non abbiente ha diritto a percepire il compenso soltanto
nel caso in cui la controparte di quest'ultima sia stata condannata a pagare le
spese giudiziali, ripetendole da quest'ultima. L'avv. Fortunata Balsano ha
chiesto la cassazione di tale provvedimento ai sensi dell'art. 111 della
Costituzione per un solo motivo. Il Presidente del Tribunale di Palermo, e
per esso l'Avvocatura Generale dello Stato hanno resistito con
controricorso.
Diritto
È necessaria una premessa. Il R.D. 30 dicembre 1923 n. 3283, che al
tempo in cui fu promulgato disciplinava il gratuito patrocinio dei non abbienti
per tutte le controversie, stabilisce, per la parte che è à rimasta in vigore, e
per quel che in questa sede rileva, che esso è "un ufficio onorifico ed
obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori" (art. 1). L'avvocato
incaricato della difesa del non abbiente deve dunque prestarla gratuitamente,
salvo il diritto di ripetere gli onorati dalla parte avversa condannata alle
spese, e l'annotazione a debito delle tasse di registro, l'esenzione dalla tassa
di bollo, e la gratuità di tutti gli atti necessari per la causa (art.
11). In tempi più recenti, ed in virtù delle leggi 11 agosto 1973 n. 533, 13
aprile 1988 n. 117 e 30 luglio 1990 n. 217, nelle controversie di lavoro, in
quelle relative alla responsabilità dei magistrati, e nelle controversie penali,
il patrocinio gratuito è diventato patrocinio a spese dello Stato, che è tenuto
a corrispondere agli avvocati incaricati della difesa il compenso che ad essi
compete a termini di tariffa. Per le controversie civili è rimasto dunque in
vigore il regio decreto del 1923, e la gratuità, nei termini innanzi riassunti,
del loro ufficio difensivo. Con l'unico motivo del suo ricorso l'avv.
Fortunata Balsamo afferma la "nullità del provvedimento impugnato per violazione
e falsa applicazione della legge relativa al gratuito patrocinio, anche in
relazione all'art. 36 e 3 della Costituzione"; richiama la sentenza della Corte
Costituzionale n. 116 del 7 luglio 1981 ed una circolare del Ministero del
Lavoro, e sostiene che la gratuità dell'ufficio di difensore dei non abbienti
nelle controversie "di separazione dei coniugi comporterebbe una sperequazione
tra gli avvocati che operano nei normali giudizi civili e quelli che operano nei
procedimenti di lavoro e penali". Dal canto suo l'Avvocatura dello Stato ha
eccepito l'inammissibilità del ricorso, affermando che "il provvedimento di cui
all'art. 12 della legge 30 luglio 1990 n. 217 (dunque qualificando come tale
quello impugnato) si atteggia a provvedimento conclusivo di un procedimento che
non comporta esplicazione di attività giurisdizionale in sede
contenziosa". Quest'ultima eccezione è senz'altro infondata, poiché la norma
citata non è applicabile nella specie, essendo relativa al patrocinio a spese
dello Stato nelle controversie penali. La decisorietà del provvedimento
impugnato, pronunziato in sede di reclamo, non sembra poi contestabile, dal
momento che con esso è stato negato un diritto del quale l'attuale ricorrente
sostiene di essere titolare. E tuttavia il ricorso è infondato, perché quello
che la ricorrente afferma essere un suo diritto non ha riscontro nella
legislazione vigente. Non a caso la ricorrente, pur denunziando una
violazione di legge, non ha specificato quali sono le norme di legge che il
provvedimento impugnato avrebbe violato. La sentenza della Corte
Costituzionale n. 116 del 1981 e la Circolare del Ministero del Lavoro
richiamata dalla ricorrente (che a suo dire ha ribadito che nelle controversie
di lavoro il patrocinio dei non abbienti non è più gratuito, ma a spese dello
Stato), non sono di conforto della sua tesi, dal momento che la prima ha avuto
ad oggetto il procedimento di nomina del difensore del non abbiente nelle
controversie di lavoro, e non gli effetti di quest'ultima, e che sia la prima
che la seconda sono relative alle controversie di lavoro, non a quelle di
separazione personale dei coniugi, ed in genere a quelle civili. La questione
di legittimità costituzionale che la ricorrente sembra voler proporre è poi
manifestamente infondata. Il richiamo all'art. 36 della Costituzione appare
fuor di luogo, poiché il difensore non instaura con il suo cliente, o chi per
lui, un rapporto di lavoro subordinato; e non sembra configurabile una disparità
di trattamento tra avvocati che si occupano di controversie civili, penali o di
lavoro, perché gli avvocati italiani non sono suddivisi normativamente in tali
categorie, e possono esplicare il loro patrocinio in qualsivoglia
controversia. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese
di lite.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di
lite. Roma, 18 giugno 1999.
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