Corte Suprema di Cassazione Sentenza n. 739 del 24 gennaio 2000 Sezione II Civile

                                                                                LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 


SEZIONE SECONDA CIVILE

composta da:
Ugo RIGGIO Presidente
Antonino ELEFANTE Consigliere
Matteo IACUBINO Consigliere
Carlo CIOFFI Consigliere relatore
Giovanna SCHERILLO Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALSANO Fortunata, avvocata, in giudizio di persona, elettivamente
domiciliata in Roma, via della Giuliana n. 82, presso l'avv. Ebe
Mele;
- ricorrente -
contro
PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI PALERMO, domiciliato preso l'Avvocatura
Generale dello Stato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e dalla
stessa difeso;
- controricorrente -
avverso il provvedimento del Presidente della Corte d'Appello di
Palermo del 5 novembre 1997.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18
giugno 1999 dal consigliere Carlo Cioffi;
Udito l'avv. Fortunata Balsano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Francesco Mele, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.

Fatto

L'avv. Fortunata Balsano fu incaricata dalla Commissione per il gratuito patrocinio del Tribunale di Palermo di difendere Dorotea Sbigottiti nel giudizio di separazione personale da suo marito Giuseppe Gioè.
Assolto l'incarico, e definito tale giudizio, l'avv. Fortunata Balsano chiese al Presidente del Tribunale di Palermo la liquidazione delle relative spese giudiziali, ossia degli onorari, competenze e spese vive, ivi comprese quelle per l'espletata procedura di correzione di un errore materiale della sentenza.
La domanda venne rigettata.
L'avv. Fortunata Balsano propose reclamo, che la Corte d'Appello di Palermo, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato.
La Corte ha osservato che la reclamante aveva prestato il suo patrocinio in un giudizio di separazione personale, ed è dunque applicabile la disciplina prevista dal RD. 30 dicembre 1923 n. 3282, a termini del quale il difensore designato del non abbiente ha diritto a percepire il compenso soltanto nel caso in cui la controparte di quest'ultima sia stata condannata a pagare le spese giudiziali, ripetendole da quest'ultima.
L'avv. Fortunata Balsano ha chiesto la cassazione di tale provvedimento ai sensi dell'art. 111 della Costituzione per un solo motivo.
Il Presidente del Tribunale di Palermo, e per esso l'Avvocatura Generale dello Stato hanno resistito con controricorso.

Diritto

È necessaria una premessa.
Il R.D. 30 dicembre 1923 n. 3283, che al tempo in cui fu promulgato disciplinava il gratuito patrocinio dei non abbienti per tutte le controversie, stabilisce, per la parte che è à rimasta in vigore, e per quel che in questa sede rileva, che esso è "un ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori" (art. 1).
L'avvocato incaricato della difesa del non abbiente deve dunque prestarla gratuitamente, salvo il diritto di ripetere gli onorati dalla parte avversa condannata alle spese, e l'annotazione a debito delle tasse di registro, l'esenzione dalla tassa di bollo, e la gratuità di tutti gli atti necessari per la causa (art. 11).
In tempi più recenti, ed in virtù delle leggi 11 agosto 1973 n. 533, 13 aprile 1988 n. 117 e 30 luglio 1990 n. 217, nelle controversie di lavoro, in quelle relative alla responsabilità dei magistrati, e nelle controversie penali, il patrocinio gratuito è diventato patrocinio a spese dello Stato, che è tenuto a corrispondere agli avvocati incaricati della difesa il compenso che ad essi compete a termini di tariffa.
Per le controversie civili è rimasto dunque in vigore il regio decreto del 1923, e la gratuità, nei termini innanzi riassunti, del loro ufficio difensivo.
Con l'unico motivo del suo ricorso l'avv. Fortunata Balsamo afferma la "nullità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione della legge relativa al gratuito patrocinio, anche in relazione all'art. 36 e 3 della Costituzione"; richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 7 luglio 1981 ed una circolare del Ministero del Lavoro, e sostiene che la gratuità dell'ufficio di difensore dei non abbienti nelle controversie "di separazione dei coniugi comporterebbe una sperequazione tra gli avvocati che operano nei normali giudizi civili e quelli che operano nei procedimenti di lavoro e penali".
Dal canto suo l'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, affermando che "il provvedimento di cui all'art. 12 della legge 30 luglio 1990 n. 217 (dunque qualificando come tale quello impugnato) si atteggia a provvedimento conclusivo di un procedimento che non comporta esplicazione di attività giurisdizionale in sede contenziosa".
Quest'ultima eccezione è senz'altro infondata, poiché la norma citata non è applicabile nella specie, essendo relativa al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie penali.
La decisorietà del provvedimento impugnato, pronunziato in sede di reclamo, non sembra poi contestabile, dal momento che con esso è stato negato un diritto del quale l'attuale ricorrente sostiene di essere titolare.
E tuttavia il ricorso è infondato, perché quello che la ricorrente afferma essere un suo diritto non ha riscontro nella legislazione vigente.
Non a caso la ricorrente, pur denunziando una violazione di legge, non ha specificato quali sono le norme di legge che il provvedimento impugnato avrebbe violato.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 1981 e la Circolare del Ministero del Lavoro richiamata dalla ricorrente (che a suo dire ha ribadito che nelle controversie di lavoro il patrocinio dei non abbienti non è più gratuito, ma a spese dello Stato), non sono di conforto della sua tesi, dal momento che la prima ha avuto ad oggetto il procedimento di nomina del difensore del non abbiente nelle controversie di lavoro, e non gli effetti di quest'ultima, e che sia la prima che la seconda sono relative alle controversie di lavoro, non a quelle di separazione personale dei coniugi, ed in genere a quelle civili.
La questione di legittimità costituzionale che la ricorrente sembra voler proporre è poi manifestamente infondata.
Il richiamo all'art. 36 della Costituzione appare fuor di luogo, poiché il difensore non instaura con il suo cliente, o chi per lui, un rapporto di lavoro subordinato; e non sembra configurabile una disparità di trattamento tra avvocati che si occupano di controversie civili, penali o di lavoro, perché gli avvocati italiani non sono suddivisi normativamente in tali categorie, e possono esplicare il loro patrocinio in qualsivoglia controversia.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.
Roma, 18 giugno 1999.