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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Angelo GRIECO Presidente " Vincenzo PROTO Consigliere " Massimo BONOMO " " Giuseppe SALMÈ " " Giuseppe Maria BERRUTI Rel. " ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: P.M. presso la PRETURA di LECCE, Ricorrente contro SCARLINO LORENZO, MARZO ANGELO; intimati avverso il provvedimento del Tribunale di LECCE, depositato il 19-07-96; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12-02-98 dal Consigliere Dott. Giuseppe Maria BERRUTI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano SCHIRÒ che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Lorenzo Scarlino veniva ammesso al patrocinio a carico dello Stato del
pretore di Lecce, in data 10 novembre 1995. Il 14 febbraio successivo lo stesso
pretore liquidava al difensore le competenze. Il Procuratore della Repubblica
presso la Pretura di Lecce ricorreva al Tribunale dolendosi sia della ammissione
al beneficio in questione, sia della entità della liquidazione delle spese al
difensore. Il Tribunale dichiarava inammissibile la opposizione relativamente
alla ammissione al beneficio e lo respingeva per il resto. Rilevava che il
Procuratore della Repubblica, quanto al primo profilo, non è legittimato a
proporre una tale impugnazione. Il Procuratore della Repubblica presso la
Pretura di Lecce ricorre in Cassazione avverso questa decisione con un
motivo.
Diritto
1) Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 185 cpp e 3, 5, 6, 132
della legge n. 217 del 1990. Sostiene che essendo principio generale la nullità
dell'atto conseguente quale effetto della nullità dell'atto presupposto, non si
può negare al Procuratore della repubblica che può impugnare l'atto,
conseguente, di liquidazione delle spettanze al difensore, di impugnare anche il
suo presupposto, pena lo "spezzettamento" della procedura, illogico ed
arbitrario. 2) Osserva la Corte che la legge n. 217 del 1990 che assicura il
patrocinio dei non abbienti a carico dello Stato prevede le condizioni di
ammissione a tale beneficio agli artt.li 3 e 5. Essa richiede pure all'art. 6
che il decreto di ammissione venga comunicato all'Intendente di finanza il
quale, se ritiene la carenza dei presupposti, può chiedere la revoca o la
modifica del provvedimento. La legge, inoltre, ribadisce tale legittimazione
dell'Intendente di Finanza precisando che il suo potere di impugnativa cessa al
compimento del quinquennio dalla definizione del procedimento per il quale il
patrocinio è stato dato. Quanto al Procuratore della Repubblica, la legge
espressamente, all'art. 12, comma 4, prevede che può impugnare il provvedimento
di liquidazione delle spese al difensore, analogamente a quanto già prevede per
le competenze dei consulenti tecnici. Ritiene il collegio che la ipotesi
della nullità degli atti conseguenti per effetto della nullità degli atti
presupposti, derivante dalla natura stessa del procedimento, e del quale è
espressione, peraltro limitata all'ambito del processo penale, l'art. 185 cpp,
non rileva nel senso sostenuto dal ricorrente. Se, infatti, deve convenirsi che
la nullità del decreto di ammissione al patrocinio comporti la caducazione dei
successivi provvedimenti che su questo si basano, e dunque del provvedimento di
liquidazione delle spese, tale conseguenzialità giuridica di atti e di effetti
non deve fare concludere per una indistinta legittimazione ad impugnare atti
diversi, per effetto e funzione, e per di più contro la volontà del legislatore.
Atti siffatti possono essere colpiti da nullità che nulla hanno a che vedere con
la relazione di conseguenzialità suddetta, ma che hanno invece origine autonoma.
Un atto di liquidazione può essere conseguente ad un decreto di ammissione al
beneficio del tutto valido ma essere tuttavia illegittimo, per cagioni sue
proprie, come la incompetenza, o la violazione della tariffa. La
legittimazione in questione, dunque, non è influenzata in alcun modo dalla
predetta conseguenzialità procedimentale, ma dipende dalla valutazione che il
legislatore ha inteso fare della opportunità di attribuire la tutela di distinti
interessi pubblici, a distinti organi dello Stato. Se, dunque, il legislatore
del vigente processo penale non ha inteso attribuire rilievo alla valutazione
del titolare della azione penale in ordine alla individuazione dei presupposti
di uno specifico modo di attuare la tutela costituzionale del diritto di difesa,
ciò non è superabile interpretativamente. Il ricorso deve essere respinto.
Non deve darsi luogo a pronuncia sulle spese giacché l'intimato non ha svolto
attività in questa sede.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
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