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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Giovanni F. MICALI Presidente " Alberto EULA Consigliere " Marino D. SANTOJANNI " " Vincenzo MILEO Rel. " " Bruno D'ANGELO " ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da BIANCHINO DOMENICO con domicilio eletto in Roma, c.so Trieste n. 150, presso l'avv. Renata Marzano, rappresentato e difeso dall'avv. Buti Piero, per delega in calce al ricorso; Ricorrente contro COND. VIA GUAZZARONI 7 TERNI in persona dell'Amm.re p.t. elettivamente domiciliato in Roma via Po 21 presso la sede CISL, rappresentato e difeso dall'avv. Berardinetti Innocenzo per delega a margine del controricorso; Controricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Terni 12.10.92 dep. il 21.12.1992 numero 121-1992 R.G.N. 1346-92; udito il Consigliere Relatore Dott. Mileo Vincenzo nella pubblica udienza del 10.5.1995; sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. De Gregorio Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con ricorso dell'11.2.1992 Bianchino Domenico, premesso di avere
espletato in modo continuativo lavoro di pulizia in favore del condominio
edilizio di Via Guazzaroni n. 7 di Terni, in base a contratto del 27.6.1987 e
fino al 31.12.1991, chiedeva al Pretore del luogo il riconoscimento del rapporto
di subordinazione in relazione alle prestazioni effettuate e, per l'effetto, la
condanna del condominio al pagamento in suo favore delle differenze retributive
tra il percepito ed il dovuto, in applicazione del C.C.N.L. di categoria, oltre
alle indennità accessorie per ferie non godute, festività non retribuite e
T.F.R., come prescritto per legge. Resistente il convenuto, il quale
contestava la qualifica del rapporto secondo l'istanza attorea ed evidenziava la
infondatezza delle pretese, il giudice adito con sentenza del 28.5.1992
respingeva la domanda e la decisione veniva confermata dal Tribunale di Terni
con pronuncia del 21.12.1992, a seguito di appello del
soccombente. Rilevavano i giudici del merito che le risultanze processuali
nel loro complesso, ed in particolare le prove documentali fornite dallo stesso
Bianchino, in carenza di contrari elementi di supporto alla tesi della
subordinazione, evidenziavano inequivocabilmente la natura autonoma del rapporto
in discussione, secondo i principi di legge e delineati dal costante
orientamento giurisprudenziale in materia, sicché non restava nella specie alcun
margine di dubbio che potesse orientare verso la pretesa
subordinazione. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il
Bianchino, il quale, previa richiesta di ammissione al gratuito patrocinio,
affida il gravame a tre motivi. Il condominio è controricorrente.
Diritto
Con i tre mezzi di impugnazione, che, attesa la loro evidente
connessione ed interdipendenza, è opportuno esaminare congiuntamente, il
ricorrente deduce violazione dell'art. 2728, comma I, c.c.; dell'art. 2697 c.c.;
dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (ex art. 360 n. 3 c.p.c.). Censura la sentenza:
1) per avere i giudici di merito deciso la controversia in base alle prove ed
alle affermazioni rese da esso Bianchino in giudizio, laddove la legge ed il
contratto collettivo di categoria qualificano come rapporto di lavoro
subordinato quello dell'addetto alle pulizie di locali, ponendo quindi al
riguardo una presunzione legale semplice in ordine alla quale ex adverso non è
stata fornita alcuna prova contraria; 2) per avere il giudicante invertito
l'onere della prova, in quanto, ritenuta detta presunzione legale circa la
natura subordinata del rapporto, che dispensa il ricorrente da ogni onere
probatorio sul punto, la controversia non poteva essere decisa in base a quanto
dedotto dall'istante, occorrendo rigorosa prova da fornirsi da controparte; 3)
per omessa motivazione circa un profilo decisivo della controversia, costituito
dalla legittimità della domanda, in carenza di prova avversaria sulla asserita
natura autonoma del rapporto di lavoro. I motivi sono infondati. In
subiecta materia questa Suprema Corte ha reiteratamente ribadito i criteri
discretivi da utilizzare al fine di inquadrare esattamente un rapporto di
lavoro, la cui qualifica sia contestata dalle parti, nella categoria
caratterizzata dalla autonomia, ovvero in quella con spiccata disciplina di
subordinazione, fissandone la demarcazione in base alla ricorrenza o meno, in
relazione al concreto atteggiarsi dello stesso in fase esplicativa e di
esecuzione, di taluni elementi, specifici dell'una o dell'altra, quali
soprattutto il vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore d'opera
al potere direttivo del datore di lavoro, con conseguente limitazione
dell'autonomia del lavoratore, ed il potere disciplinare e di controllo
esercitato nei confronti di costui durante la esecuzione, nel rapporto
subordinato; e, per converso, la configurabilità di una prestazione d'opera
autonoma in ipotesi di insussistenza di tali precipui elementi caratterizzanti,
ove per l'appunto l'attività sia espletata in assenza di alcun vincolo nel senso
che precede, in regime di piena autonomia di organizzazione, di esecuzione e di
mezzi, con obbligo del solo risultato commesso al lavoratore e demandato
qualitativamente alle sue capacità tecniche o artigianali. Laddove altri
elementi, quali il nomen iuris convenzionale dato dalle parti al rapporto, la
collaborazione, l'assenza di rischio, la natura e la continuità della
prestazione lavorativa, la forma della retribuzione e l'osservanza di un orario
predeterminato, ovvero il controllo generico del risultato, in relazione alle
direttive esplicitate al riguardo, possono avere soltanto una portata
sussidiaria e non decisiva, soprattutto qualora il concreto atteggiarsi delle
prestazioni, attesa la loro natura polivalente nel senso della demarcazione come
sopra qualificata, non assuma le caratteristiche della univocità. Ed è,
altresì, ius receptum che, ai fini della distinzione fra lavoro autonomo e
subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei
criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce
accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da
motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle
risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il
rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale. Nella specie
ritiene il Collegio che il Tribunale abbia fatto corretto uso di tali principi,
applicandoli in concreto previa approfondita, completa e rigorosa valutazione di
tutte le risultanze processuali acquisite, sicché conseguenzialmente esatte sono
le conclusioni finali cui è pervenuto, con motivazione adeguata ed esente da
errori, contrariamente a quanto è stato prospettato nelle censure, nelle quali,
attraverso una deformata interpretazione delle norme di contrattazione
collettiva e della legge, sostanzialmente il ricorrente tende a sostituire la
propria distorta visione a quella evidenziata dai giudici di merito in perfetta
aderenza ai fatti di causa. Nel caso in esame, anzitutto, non è dato
ravvisare alcuna presunzione legale di lavoro subordinato in presenza di
attività di pulizia di locali svolta a favore di terzi, in quanto la legge n. 23
del 4.2.1948 (NDR: così nel testo), cui sembra far riferimento il Bianchino per
inferirne tale presunzione - con conseguente inversione dell'onere della prova
in capo al convenuto -, non concerne la qualifica obbligatoria dell'attività di
pulizia locali come subordinata, ma attiene alla perequazione salariale degli
addetti a tali specifiche mansioni negli stabili urbani, ove realmente espletate
in regime di subordinazione; il che lascia evidentemente impregiudicata la
effettiva qualifica del rapporto, le cui caratteristiche a fini di inquadramento
nell'una o nell'altra categoria di lavoro postulano sempre l'accertamento di
fatto della ricorrenza o meno degli elementi discretivi delineati. Ciò posto,
e ferma restando quindi la applicazione diretta dei principi probatori fissati
dall'art. 2697 c.c., senza alcuna inversione degli stessi come erroneamente
preteso dal ricorrente, il Tribunale, facendo corretto uso dei poteri di
indagine di competenza, non solo ha evidenziato che il lavoratore, venendo meno
all'onus probandi a suo carico, non ha addotto alcun elemento idoneo a
suffragare, sulla base e secondo i principi discretivi cennati, la sua tesi
della ricorrenza in concreto di un rapporto di lavoro subordinato, limitandosi a
richiamare erroneamente la ritenuta presunzione legale a suo favore e
pretendendo ex adverso la prova contraria; ma ha, altresì, enucleato una
congerie di univoci elementi a sostegno del profilo di autonomia del rapporto in
esame, offerti dallo stesso ricorrente sia con affermazioni in contrasto con la
propria tesi, sia documentalmente, pretendendo, poi, in modo pervicace e
sintomaticamente temerario, di invalidarne lo spessore probatorio sul falso
presupposto di una loro valenza inficiata dall'error in procedendo del giudice e
dalla violazione di norme di legge (art. 2697 c.c.) in tema di inversione
dell'onere della prova. Elementi consistenti: 1) nella volontà negoziale
delle parti consacrata nel contratto stipulato il 27.6.1987, dal quale si evince
la loro comune intenzione di dar vita ad un rapporto di lavoro autonomo,
qualificato espressamente "contratto d'opera"; 2) nella circostanza che con tale
stipula la impresa di pulizie civili ed industriali del Bianchino si obbligava
con i propri mezzi, senza obbligo di orario e senza ricevere direttive ed essere
controllata, ad effettuare determinati lavori di ripulitura delle parti comuni
dell'edificio di via Guazzaroni n. 7, in Terni; 3) nel fatto che, in prosieguo e
fino al termine, non risulta essere stata apportata alcuna modifica a siffatto
iniziale rapporto negoziale, nè formale, nè soprattutto sostanziale, sicché esso
ebbe a svolgersi in concreto sempre secondo i canoni di un rapporto di lavoro
autonomo, mantenendone le peculiari caratteristiche e gli specifici requisiti;
4) nel rilascio, di volta in volta, di ricevute fiscali di pagamento da parte
del Bianchino, quale Ditta regolarmente iscritta alla Camera di Commercio come
impresa esercente attività di pulizie civili ed industriali, e come fornita di
partita I.V.A.; 5) nella conseguenziale rivalsa di tale imposta effettuata dalla
Ditta Bianchino in proprio; 6) nell'intimo convincimento dello stesso ricorrente
del carattere di autonomia del rapporto, come formalizzato ed in concreto
svoltosi, tanto da indurlo a prospettare reiteratamente all'Amministrazione del
condominio la opportunità di una trasformazione in subordinato, non riuscendovi
per il sintomatico rifiuto opposto ex adverso, in quanto la parte intendeva
protrarlo nell'attuale caratteristica, ne sì profilavano valide ragioni per
mutarlo. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno ravvisato nel caso
di specie la ricorrenza di elementi di fatto, che inducono a configurare un
rapporto di lavoro autonomo, talmente numerosi e molteplici, e dal significato
così univoco, da non consentire diverse conclusioni neanche in forma
dubitativa. Le censure apportate alla sentenza in senso contrario si
appalesano, pertanto, del tutto inconsistenti, capziose e meramente
defatigatorie sicché s'impone il rigetto del ricorso. Dev'essere esaminata,
infine, l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata dal
ricorrente, e dev'esserne ritenuta l'ammissibilità, secondo il combinato
disposto degli artt. 11 e 13, 4 comma, della legge 11.8.73 n. 533 sulla
disciplina delle controversie individuali di lavoro, poiché sussiste il
requisito reddituale accertato nelle debite forme nonché la competenza di questa
Corte a provvedere in merito, quale giudice dell'impugnazione, ex art. 323 cpc.,
tenuto conto che l'istante è rimasto soccombente nella precedente fase del
giudizio. Dev'essere rilevato nello stesso tempo che su tal questione non si
rinvengono precedenti giurisprudenziali, onde dev'essere compiuta un'esegesi
puntuale e sistematica delle disposizioni invocate. Le norme in esame,
allorquando vennero introdotte dal legislatore in sede di compilazione della
legge n. 533-73, si discostavano sia dai criteri che dai requisiti previsti nel
contemporaneo progetto di legge presentato dal Governo in data 16.10.72,
concernente la riforma generale dell'assistenza e del patrocinio in giudizio dei
non abbienti (Senato - 6 legislatura - disegni di legge e relazioni - documento
n. 453). Con tale novella, infatti, s'intendevano ammodernare ed ampliare le
norme già introdotte dal r.d. 30.12.23 n. 3282, concernente la disciplina del
gratuito patrocinio, tanto più che la legge 2.4.58 n. 319 aveva già innovato
circa la gratuità dei giudizi concernenti le controversie di lavoro, quale segno
nuovo e significativo del mutamento della legislazione ius-..... in senso
sociale e democratico. Fu, per l'appunto, la deroga all'indirizzo dettato da
quei criteri generali, nonché la ripetitività di alcune norme, che suscitò delle
perplessità in seno alle Commissioni riunite Giustizia e Lavoro del Senato nella
seduta dell'11.4.73, in cui erano chiamate ad approvare in sede redigente l'art.
16 (oggi 11-13) della legge n. 533-73. I rilievi mossi furono i seguenti: 1)
"inserimento nel disegno di legge di disposizioni riproduttive di quelle
contenute nel disegno di legge generale"; 2) "le conseguenze cui l'approvazione
di uno solo dei due provvedimenti potrebbe condurre"; 3) "l'opportunità di
adeguare i requisiti richiesti per lo stato di non abbienza ai nuovi criteri
della riforma tributaria"; 4) "la diversità delle soluzioni accolte tra i due
provvedimenti circa l'organo competente a deliberare l'ammissione al gratuito
patrocinio a carico dello Stato". Le osservazioni suddette, prescindendo
dall'opportunità specifica della loro proposizione in vista della necessità di
licenziare in tempi brevi il testo di legge, avevano tutte un fondamento
ragionevole, ad eccezione dell'ultima, che censurava la neo-introdotta
competenza del giudice del lavoro circa l'ammissione del lavoratore al beneficio
del patrocinio a spese dello Stato, quale tratto ritenuto a torto preferenziale
rispetto alla mantenuta vigenza della Commissione del gratuito patrocinio nel
progetto di legge governativo. Il disegno di legge sul nuovo rito del lavoro,
infatti, che era stato presentato inizialmente alla Camera dei Deputati (6
legislatura disegni di legge e relazioni - documento n. 379) prevedeva già, sul
punto, la competenza del pretore, il cui provvedimento favorevole di ammissione
al patrocinio a spese dello Stato sarebbe valso per tutti i gradi del giudizio
(art. 16, 2 comma). Esso, però, stabiliva all'art. 20 che "per quanto non
disposto dagli articoli della presente legge si applicano, in quanto
compatibili, le vigenti disposizioni sul patrocinio statale", onde lasciava
rivivere, almeno de residuo, la Competenza funzionale della Commissione sul
gratuito patrocinio di cui all'art. 5 del r.d. 30.12.23 n. 3282, nonché
dell'istituenda nuova Commissione prevista dal disegno di legge già
citato. Il testo suddetto (approvato senza modificazioni sostanziali in data
26.10.72 e trasmesso al Senato in data 2.11.72 ove fu iscritto col n. 542) venne
modificato dal Comitato ristretto nominato in seno alle Commissioni riunite di
quel ramo del Parlamento nel senso: 1) di estendere la gratuità del giudizio
alla fase di conciliazione, sia pubblica che privata (art. 10, 1 comma); 2) di
graduare la validità del beneficio in expensis a seconda della ritenuta
fondatezza della domanda nei diversi gradi di giurisdizione (art. 13, 4 comma);
3) di eliminare ogni sopravvivenza della vecchia disciplina sul gratuito
patrocinio, sia ordinamentale, che con riguardo a qualsiasi competenza
superstite della vecchia Commissione (scopo conseguito attraverso la
soppressione dell'art. 20 del testo trasmesso dalla Camera dei Deputati). Di
tali modificazioni, quella più significativa, per quanto ne concerne, è
l'ultima. Essa conferma, da un lato, l'innovazione introdotta dalla Camera
dei Deputati circa l'istituzione della competenza funzionale del giudice del
lavoro, e, dall'altro, l'eliminazione contemporanea di qualsiasi reviviscenza,
ancorché parziale o frammentaria, del regime assistenziale precedente. Si
comprende facilmente, pertanto, che la ratio legis dei vigenti artt. 11-13 della
legge n. 533-73 è quella di sottrarre il chiesto privilegio in expensis
all'esclusiva burocraticità dell'esame della documentazione esibita. Se si
fosse mantenuto in vigore il sistema della competenza esclusiva di una
Commissione estranea alla giurisdizione del lavoro si sarebbe insistito
nell'errore: 1) di lasciare in ombra il volto umano di sofferenza e di
trattamento ingiusto denunziato in un campo in cui tanto incide l'opera
dell'uomo; 2) di consentire che tale errore continuasse ad annidarsi nella
pretermissione dell'esame tecnico - giuridico della pretesa vantata da parte
dello stesso giudice che su di essa è chiamato a pronunziarsi; 3) di seguitare a
disconoscere che il giudice naturale di tali controversie e l'unico organo in
grado di valutare contemporaneamente la veridicità del dedotto stato
d'indigenza, con le ragioni prospettate, secondo il sostrato economico che il
thema decidendum comporta; 3) di continuare ad impedire la valutazione della
domanda alla luce di tutti gli elementi di prova comunicati col ricorso
introduttivo del giudizio o con quello d'impugnazione; 4) di non consentire che
si tenesse conto, in sede di gravame, delle prove già raggiunte e delle sentenze
già pronunziate, sia con riguardo alla fondatezza della domanda che allo stato
d'indigenza prospettato. L'attribuzione, per contro, alla magistratura del
lavoro della competenza esclusiva in esame consente che il giudizio sul
beneficio chiesto sia eseguito col metro più esatto possibile in virtù
dell'approfondito esame che esso consente della domanda di giustizia proposta,
della prevista graduazione del privilegio attribuito secondo la conclusione
delle fasi del giudizio, e della più oculata valutazione della spesa che
l'erario è chiamato a sopportare. Le disposizioni, tuttavia, di cui agli
artt. 11-13 della legge in esame vennero approvate egualmente dal Senato,
nonostante le obbiezioni sollevate, in considerazione dell'urgenza della
promulgazione del nuovo di rito del lavoro e sul rilievo della validità di esse
fino all'approvazione del disegno governativo n. 453 già citato. Le
considerazioni, infatti, svolte in quella sede dal Ministro di Grazia e
Giustizia in occasione dell'approvazione in seconda lettura, come già detto, del
testo della legge n. 533-73 nella seduta del 15.5.73 furono le seguenti: 1) "tra
le norme che pongono in più evidente risalto l'aspetto sociale del disegno di
legge è senza dubbio la gratuità del giudizio"; 2) "secondo l'articolo unico
della legge vigente 2.4.58 n. 319, gli atti, i documenti ed i provvedimenti
relativi alle cause per controversie individuali di lavoro e di rapporti
d'impiego pubblico sono esenti dalle imposte di bollo e di registro e da ogni
spesa, tassa, o diritto di qualsiasi specie e natura, limitatamente ai giudizi
il cui valore non superi il milione di lire"; 3) "ora tale limite, già di per sè
estremamente restrittivo e reso ancor più inadeguato dalla svalutazione
monetaria, viene eliminato completamente dall'art. 10 del disegno di legge in
esame, che prevede la gratuità del giudizio senza alcuna limitazione di valore o
di competenza, ed estende altresì il principio alla fase stragiudiziale, e cioè
agli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del
lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti od accordi
collettivi, nonché alle cause per controversie di previdenza e di assistenza
obbligatorie"; 4) "con ciò viene ad essere rimossa ogni remora, anche di
carattere estrinseco, all'esperibilità dell'azione in modo che tutti i
cittadini, indipendentemente dalla loro condizione economica, possano accedere,
in condizioni di eguaglianza, alla tutela giudiziaria dei propri diritti"; 5)
"coerentemente a tale indirizzo ed al fine di garantire effettivamente il
rispetto del principio fondamentale dell'uguaglianza dei cittadini nel diritto
di difesa, il disegno di legge detta norme sul patrocinio statale per i non
abbienti, che sono state coordinate con le disposizioni relative alla riforma
generale (di cui al disegno di legge n. 453 del Senato, presentato dal Governo
il 16.10.72 ed approvato in sede referente dalla Commissione Giustizia del
Senato) e che rimarranno in vigore fino all'approvazione definitiva della
cennata riforma generale"; 6) "il Governo è stato particolarmente sensibile a
questi aspetti del provvedimento, che, per la prima volta nella storia del
nostro paese, liberano in concreto il lavoratore da quella posizione
d'inferiorità che ne faceva sin qui, in partenza, la parte più debole del
processo, ed ha conseguentemente, sulla base di calcoli effettuati dagli uffici
competenti del Ministero della Giustizia, proposto, con l'accettazione da parte
delle Commissioni riunite, di quadruplicare, portandolo da 250 milioni ad un
miliardo, l'onere finanziario annuo per la gratuità del giudizio e per il
patrocinio a spese dello Stato (art. 16"). Da tale excursus appare evidente
che il legislatore, dopo un travaglio di non lieve impegno, ha voluto sottrarre
implicitamente, ex art. 15 delle preleggi, ma con chiarezza ellittica non
equivocabile, le controversie di lavoro nonché quelle di previdenza e di
assistenza obbligatorie all'impero delle norme di cui al r.d. n. 3282-23 sul
gratuito patrocinio, allo scopo di accordare ai lavoratori una tutela
giurisdizionale più ampia ed incisiva onde porli giurisdizionalmente in
condizione di parità effettiva coi loro datori di lavoro. Il Senato, quindi,
confermando l'innovazione legislativa introdotta alla Camera dei Deputati dopo
il dibattito ampio cui si è già accennato, convalidò l'evoluzione de iure
condendo introdotta dal disegno di legge generale proposto dal Governo circa la
tutela dei non abbienti, che sostituiva il criterio assistenziale con quello più
solidaristico del sostegno economico in funzione di una riconosciuta parità in
tema di diritti fondamentali di per sè non condizionabili da accidenti
patrimoniali. Deve considerarsi ora che il disegno di legge n. 453 cui
avevano fatto riferimento le Commissioni senatoriali riunite, nonché il Ministro
di Grazia e giustizia, al fine di giustificare l'introduzione transitoria delle
norme concernenti la gratuità del giudizio in esame, (art. 15 della legge n.
533-73) non è stato mai approvato. Il Parlamento, infatti, per motivi non del
tutto chiari, vi ha rinunziato (almeno per il momento, ex art. 1, 7 comma, della
legge n. 217-90), avendo rinviato la sistemazione definitiva della materia alla
promulgazione della disciplina generale sul patrocinio dei non abbienti avanti
ad ogni giurisdizione. Esso ha preferito approvare, quindi, le norme di cui
alla legge suddetta, concernente l'istituzione del patrocinio a spese dello
Stato per i non abbienti, che, contrariamente alla sua titolazione, riguarda
soltanto la gratuità dei processi penali, così come recato inequivocabilmente
dal combinato disposto di cui all'art. 1, 1 e 2 comma, ove si fa riferimento
esclusivo alla sopportazione delle spese attinenti alla tutela penale nonché a
quella civile concernente il risarcimento del danno sofferto dal reato e le
restituzioni relative. L'art. 16 di tale corpus, inoltre, a conferma della
limitazione della provvidenza introdotta, abroga tacitamente, con riferimento
implicito ai processi penali, le norme di cui al già citato r.d. n. 3282-23 sul
gratuito patrocinio, disponendo che le ammissioni già deliberate rimangono
valide mentre gli effetti di esse vengono regolati dal più vantaggioso ius
superveniens introdotto. Non v'è dubbio, quindi, che il carattere transeunte
che il Parlamento ha ritenuto di dare agli artt. 11-13 della n. 533-73 in attesa
dell'emanazione della legge generale di riordinamento della gratuità dei giudizi
non è ancora venuto meno, onde dev'essere riaffermata la vigenza di tali
disposizioni, sostitutive, come già detto, della disciplina sul gratuito
patrocinio di cui al r.d. n. 3282-23. Consegue, pertanto, che la proposizione
della domanda in esame da parte del ricorrente dev'essere ritenuta ammissibile,
ma che essa dev'esser rigettata per le già esposte ragioni di manifesta
infondatezza delle violazioni di legge denunziate, secondo quanto disposto
dall'art. 11, 1 comma, della legge n. 533-73.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare in favore
del resistente le spese del presente giudizio, che si liquidano in L. 24.600,
oltre L. 2.000.000 per onorario di avvocato. Roma 10 maggio 1995.
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