|
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con provvedimento in data 17 ottobre 2002
il Gip del Tribunale di Roma ha ordinato la trasmissione all'ufficio del Pm
dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta
dall'indagato L.M., rilevando che, ai sensi della disciplina contenuta nel
d.P.R. 115/2002 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di spese di giustizia, la cui parte terza - artt. 74 ss. - riguarda il
patrocinio a spese dello Stato), la competenza a decidere deve ritenersi
attribuita al Pm medesimo, anche in considerazione della mancata riproduzione,
nel nuovo testo normativo, del disposto dell'art. 7 l. 217/1990 e successive
modifiche, integralmente abrogata dall'art. 299 d.P.R. cit.
Il
Procuratore della Repubblica di Roma ha proposto ricorso avverso detto
provvedimento, denunciandone l'abnormità per la sua idoneità a provocare la
stasi del procedimento.
2. La quarta Sezione penale di questa corte,
investita dell'impugnazione, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite a norma
dell'art. 618 c.p.p., sul rilievo dell'esistenza di un contrasto
giurisprudenziale in ordine alla questione di diritto sottoposta al suo esame,
essendosi la stessa Sezione pronunciata per la perdurante competenza del Gip
anche dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 115/2002, e per la conseguente
abnormità del provvedimento del Gip di trasmissione dell'istanza al Pm, con due
sentenze pronunciate entrambe in data 4 giugno 2003 in procedimenti Gradito (non
massimata) e Franceschi, (Ced Cassazione, rv 226188), nonché con la sentenza 5
giugno 2003, Diakho (id., rv 226187), ed avendo la medesima deciso in senso
contrario con le sentenze emesse in data 20 giugno 2003 in proc. Arcieri (id.,
rv 226198) e Giacon (non massimata), nonché con altra in data 1° ottobre 2003 in
proc. Essamari (non massimata).
3. Il Pg presso questa Corte ha chiesto
che venga dichiarata l'inammissibilità del ricorso, sul rilievo della non
abnormità del provvedimento impugnato in quanto rientrante negli schemi tipici
dell'ordinamento processuale e della sua conseguente inimpugnabilità in forza
del principio di tassatività dei casi e mezzi d'impugnazione di cui all'art.
568, comma 1, c.p.p.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.
Pregiudiziale rispetto alla soluzione della questione sottoposta all'esame di
queste Sezioni Unite, incentrata sul quesito se, a seguito dell'entrata in
vigore del d.P.R. 115/2002, abrogativo della l. 217/1990, competente a decidere
sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato durante la fase
delle indagini preliminari sia il Gip od il Pm, è la decisione sull'abnormità o
meno del provvedimento impugnato, da essa dipendendo l'ammissibilità del ricorso
del Pm.
Alla stregua della definizione della categoria dell'abnormità
elaborata dalla giurisprudenza e, particolarmente, della sua duplice
connotazione di «abnormità in senso strutturale», per cui l'atto si pone - per
la sua eccentricità - radicalmente al di fuori del sistema processuale, ed
«abnormità in senso funzionale», riscontrabile ove esso, pur non potendosi
considerare estraneo al sistema, determini la stasi irresolubile del processo o
procedimento (v. Cassazione, Sezioni Unite, 10 dicembre 1997, Di Battista, Ced
Cassazione, rv 209603 e 24 novembre 1999, Magnani, id., rv 215094), il
provvedimento in esame, certamente non riconducibile alla prima tipologia di
abnormità, ben può, invece, ascriversi alla seconda, dal contrasto tra Gip e Pm,
notoriamente non risolvibile mediante proposizione di conflitto ai sensi
dell'art. 30 c.p.p. (v. Cassazione, Sezione prima, 21 gennaio 2000, Cerbonara,
id., rv 215378; 27 gennaio 1998, Acampora, id., rv 210007 e 19 febbraio 1993,
Egizio, id., rv 193396), essendo, di fatto, derivata la stasi del procedimento
incidentale concernente la richiesta dell'indagato di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato, con potenziale incidenza sugli atti del procedimento
principale, attesa la comminatoria di nullità assoluta contenuta nell'art. 96,
comma 1, d.P.R. 115/2002 per il caso di omessa decisione sull'istanza entro i
dieci giorni successivi alla sua presentazione. Infatti, nella ipotesi di
rifiuto di provvedere sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato opposto tanto dal Gip che dal Pm, viene ad essere sine die paralizzato il
procedimento introdotto dall'istanza medesima e, di conseguenza, l'effettivo
esercizio del diritto di difesa dell'istante, a meno di un'improbabile
resipiscenza di uno dei due organi in contrasto, e senza che alcuna norma
preveda o consenta la reiterabilità della richiesta. In una situazione siffatta,
essendo impraticabile il ricorso alla proposizione di un conflitto di competenza
e non essendo il provvedimento del Gip altrimenti suscettibile di alcun rimedio
per il principio di tassatività dei casi e mezzi di impugnazione, unico mezzo
idoneo a rimuovere la verificatasi situazione di stallo del procedimento
risulta, pertanto, il ricorso per cassazione per abnormità funzionale dell'atto,
non apparendo percorribile neppure la via suggerita dal Pg requirente presso
questa Corte, e cioè quella di impugnare il provvedimento del Gip ai sensi
dell'art. 99 d.P.R. 115/2002, perché basata unicamente sull'equiparazione della
trasmissione degli atti per competenza al Pm ad un provvedimento di sostanziale
rigetto della richiesta; nel circoscrivere la ricorribilità delle decisioni
sull'istanza a quelle di rigetto della stessa il legislatore ha, invero,
chiaramente inteso riferirsi a decisioni (negative) sul merito della richiesta e
non anche a statuizioni di natura meramente processuale o formale, opponendosi,
ancora una volta, alla prospettata estensione il principio di tassatività di cui
all'art. 568, comma 1, c.p.p.
5. Ciò premesso, può passarsi all'esame
della questione che ha dato luogo al suesposto contrasto
giurisprudenziale.
Il congiunto ricorso a criteri di interpretazione
letterale, sistematica e storica, unitamente alla valorizzazione delle
indicazioni derivanti dai lavori preparatori del d.P.R. 115/2002 e dalla
giurisprudenza costituzionale, convincono della fondatezza delle ragioni svolte
dal Pm ricorrente e, dunque, dell'esattezza dell'opinione che assegna tuttora al
Gip la competenza a decidere sulle istanze di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato durante la fase delle indagini preliminari.
Se, infatti, non
utile alla soluzione del problema appare la formulazione degli artt. 93, comma
1, 96, comma 1 e 97, comma 1, del t.u., in relazione alla definizione di
«Magistrato» contenuta nel precedente art. 3, lett. a), potendosi
indifferentemente con tale termine intendere tanto il Gip che il Pm, e se del
pari inutilizzabile deve ritenersi l'impiego del termine «processo» (del resto
indiscriminatamente usato dall'art. 75 - che definisce l'ambito di applicabilità
dell'istituto - in sintonia con le definizioni poste dall'art. 3, lett. o) e p),
del t.u.) in luogo di «procedimento», non essendo il primo tecnicamente
riferibile alla fase delle indagini preliminari e non potendosi da esso trarre
alcuna indicazione a favore della tesi del ricorrente, significativo è, invece,
il disposto dell'art. 99, comma 1, d.P.R. in esame, secondo cui il ricorso
avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza va proposto «davanti al
presidente del Tribunale o al presidente della Corte di appello ai quali
appartiene il Magistrato che ha emesso il decreto di rigetto», sembrando
maggiormente plausibile che tale appartenenza debba essere intesa nel senso di
organico inserimento del Magistrato decidente in uno degli uffici giudiziari
indicati piuttosto che nel senso, sostenuto da Cassazione, Sezione quarta, 20
giugno 2003, Arcieri, cit., dì una sua mera collocazione territoriale
nell'ambito di una circoscrizione giudiziaria e che, pertanto, l'ambivalenza del
termine «Magistrato» debba risolversi nella sua identificazione in un Giudice
anziché in un rappresentante dell'ufficio del Pm. Replicando ad un degli
argomenti addotti a sostegno dell'opposto orientamento, non pertinente stimasi,
poi, il richiamo alla formulazione dell'art. 11, comma 5, l. 319/1980, anch'essa
integralmente abrogata (salvo l'art. 4) dall'art. 299 d.P.R. 115/2002, avendo il
legislatore, in quella sede, avuto cura di distinguere tra «appartenenza» del
Giudice al Tribunale od alla Corte di appello chiamati a decidere sul ricorso
avverso il decreto di liquidazione dei compensi a periti, consulenti tecnici,
interpreti e traduttori ed esercizio delle funzioni dì Pm presso detti uffici:
ove, dunque, anche da tale norma si voglia trarre argomento per la soluzione
della questione in esame, la stessa dovrebbe, semmai, deporre in senso
antitetico a quello invocato da chi ad essa si è richiamato, essendo stato il
concetto di appartenenza chiaramente impiegato non nel senso generico di mera
dislocazione territoriale bensì in quello specifico di inserimento organico del
Magistrato/Giudice nell'ufficio giudiziario chiamato a decidere sul
ricorso.
Nello stesso senso depongono, inoltre, la previsione dell'art.
79, comma 3, t.u., che parla espressamente di «Giudice procedente» come organo
legittimato a richiedere la produzione di documentazione atta a comprovare la
veridicità di quanto dichiarato dall'istante, e quella del successivo art. 93,
comma 2, circa la possibilità di presentare l'istanza all'udienza, nel qual caso
sarebbe incongruo ritenere che essa non debba essere presentata all'organo
giudicante o che possa indifferentemente essere presentata al Giudice od al Pm,
altrettanto incongrua apparendo l'ipotesi di una competenza ripartita a seconda
che l'istanza venga o meno presentata in udienza, così conferendosi
all'interessato la potestà di arbitrariamente determinare la competenza
dell'autorità chiamata a decidere. Analogamente dicasi per il disposto dell'art.
105 t.u. (da leggersi come norma speciale rispetto alla generale previsione di
cui all'art. 82, comma 1), che demanda al Gip la liquidazione del compenso al
difensore ed agli altri soggetti ivi indicati, «anche se l'azione penale non è
stata esercitata», sembrando coerente che alla liquidazione provveda lo stesso
organo che ha deciso sull'istanza, e dell'art. 82, comma 3, che impone
all'autorità giudiziaria di comunicare anche al Pm il decreto di pagamento al
difensore degli onorari e delle spese, donde la logica risolvibilità del
termine, anch'esso ambivalente, di «autorità giudiziaria» usato dalle citate
disposizioni in quello univoco di «giudice».
Non è, infine, superfluo
richiamare, nell'ambito dei criteri di interpretazione storica della nuova
normativa ed ai fini della ricostruzione delle linee fondanti dell'istituto,
l'originaria formulazione dell'art. 32 d.lgs. 271/1989, norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del c.p.p. - sostituito dall'art. 17 l. 60/2001 -
che, analogamente all'art. 7 della successiva l. 217/1990, assegnava
espressamente al Gip il compito di provvedere sulla richiesta di ammissione al
gratuito patrocinio prima dell'esercizio dell'azione penale.
Per contro,
non ostativa deve ritenersi l'obiezione formulata dai fautori dell'opposta tesi
circa la difficoltà (in ogni caso meramente pratica) di concepire una competenza
in materia del Gip - il cui protagonismo nella fase delle indagini preliminari è
meramente eventuale ed episodico - ove lo stesso non sia ancora stato in alcun
modo attivato dalle parti, essendosi osservato che un intervento del predetto
Giudice in ogni momento delle indagini, e dunque anche al di fuori di quelli
espressamente disciplinati dalla legge processuale, è ora previsto dall'art.
391-octies c.p.p., che riconosce al difensore comunque informato dell'esistenza
di un procedimento penale il potere di «presentare gli elementi difensivi di cui
al comma 1 (ovvero elementi di prova a favore) direttamente al giudice, perché
ne tenga conto anche nel caso in cui debba adottare una decisione per la quale
non è previsto l'intervento della parte assistita».
Similmente, nessun
valido argomento a favore dell'opinione qui confutata può trarsi dal dovere
imposto al Pm dall'art. 97, comma 4, c.p.p., di nominare all'indagato un
difensore di ufficio in caso di compimento di un atto per cui sia prevista
l'assistenza del difensore, o da quello, stabilito dall'art. 103 d.P.R.
115/2002, di informare in tal caso l'interessato circa le disposizioni in tema
di patrocinio a spese dello Stato e dell'obbligo di retribuire il difensore
d'ufficio ove non sussistano i presupposti per l'ammissione a detto beneficio,
giacché, a prescindere dal rilievo che analoghi doveri sono imposti anche alla
polizia giudiziaria, palesemente diverse risultano le discipline a confronto,
riguardando le norme ora citate il compimento di atti dovuti, le cui cadenze
sono rigidamente regolate dalla legge e non implicano l'esercizio di alcun reale
potere decisorio, mentre l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato, come meglio più avanti si dirà, introduce un sub procedimento di natura
giurisdizionale, connotato da operazioni di natura valutativa e sfociante in una
decisione, suscettibile di impugnazione, ricognitiva dell'esistenza o meno di un
diritto munito di tutela costituzionale (v. art. 24, comma 2, Cost.).
6.
A corroborare l'orientamento accolto da queste Sezioni Unite soccorrono,
ulteriormente, taluni espliciti passaggi della relazione al d.P.R. in esame,
secondo cui «il contenuto dell'art. 7, comma 1, della l. 217/1990, come
modificato dalla l. 134/2001, è interamente assorbito», con conseguente
superfluità di una sua riproduzione, in quanto «nel penale non è possibile
immaginare una richiesta di ammissione al patrocinio prima del coinvolgimento di
un Giudice (anche nella fase delle indagini preliminari)», da cui si trae
l'evidente volontà del legislatore delegato dì non innovare il precedente
assetto delle competenze in materia, in conformità - del resto - alla natura
meramente «compilativa» tipica dei t.u., che non possono ritenersi autonome
fonti di diritto, tali essendo unicamente i testi delle normative primarie o
secondarie in essi recepite, di cui viene soltanto novata la matrice formale. Ed
infatti l'oggetto della delega contenuta nell'art. 7, comma 2, lett. d), l.
50/2000 (modificata con l. 340/2000), è espressamente limitata al «coordinamento
formale del testo delle disposizioni vigenti», con facoltà di apportare «nei
limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza
logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare
il linguaggio normativo», ragione questa che ha indotto la Corte costituzionale,
con sentenza 212/2003, in Dir. giust., 2003, 28, a dichiarare l'illegittimità
costituzionale, per eccedenza dalla delega in riferimento all'art. 76 Cost.,
degli artt. 237, 238 e 299 - quanto alla disposta abrogazione dell'art. 660
c.p.p., concernente l'esecuzione e conversione delle pene pecuniarie - del
d.P.R. 115/2002.
7. Da ultimo, ma non certo in ordine di importanza,
rilevante conforto all'interpretazione qui accolta proviene dalla giurisprudenza
costituzionale in materia (v., soprattutto, Corte costituzionale, ordinanza
144/1999, in Giur. cost., 1999, 1156), che ha evidenziato come «nel decidere se
spetti il patrocinio a spese dello Stato, il Giudice esercita appieno una
funzione giurisdizionale avente ad oggetto l'accertamento della sussistenza di
un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale, sicché i provvedimenti
nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti di
giurisdizione» (in senso analogo v. Cassazione, Sezioni Unite, 24 novembre 1999,
Di Dona, Ced Cassazione, rv 214693-4) ed ha sottolineato (v. sentenze 389 e
458/2002 nonché 212 e 304/2003) la natura meramente compilativa del t.u. in
esame: di qui l'evidente incongruenza ed asistematicità di una soluzione che
attribuisse ad una parte processuale, per quanto pubblica, anziché ad un organo
giurisdizionale terzo ed imparziale, decisioni influenti sull'esercizio di un
diritto garantito dalla legge fondamentale, nonché la doverosità di
un'interpretazione della disciplina in esame che, senza forzare in alcun modo la
lettera della norma ed in aderenza a criteri di interpretazione sistematica e
storica, privilegi l'unica opzione ermeneutica costituzionalmente
orientata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il decreto impugnato ed
ordina trasmettersi gli atti al Gip del Tribunale di Roma per la decisione
sull'istanza.
|
|